di Michela Nicolussi Moro, Corriere Veneto. Dopo tre anni di pandemia la speranza è che l’esperienza maturata da tutti, governo, Regioni, sanitari e cittadini, serva ad affrontare tempestivamente e con provvedimenti mirati eventuali nuovi allarmi. Per esempio si potrebbero evitare futuri lockdown? «Stando alla letteratura scientifica non ci sono alternative per impedire o bloccare la trasmissione di virus ad alta contagiosità, virulenza e mortalità e ai quali si è tutti suscettibili — risponde il professor Vincenzo Baldo, docente di Igiene all’Università di Padova e componente del Comitato tecnico scientifico regionale —. Nel caso del Sars-Cov2 si è rivelata però una scelta intelligente utilizzare i dati in tempo reale per passare, quando è stato possibile, dalla chiusura totale a misure flessibili a seconda del quadro epidemiologico. Adesso possiamo anche contare sul Panflu, il piano regionale di risposta a una pandemia, che indica con precisione chi fa cosa. Il Covid ci ha colto impreparati, ha cambiato le nostre vite e tutto ciò potrebbe ricapitare con altre malattie, quindi bisogna mantenere alto il livello di sorveglianza, addestrare il personale in base al piano e fare tesoro di una memoria storica che va tramandata alle nuove generazioni».
La reazione in una settimana
In prima linea dall’inizio dell’emergenza pure Antonia Ricci, direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie: «Perché non sia necessario il lockdown bisogna fermare la circolazione dell’infezione molto velocemente, all’inizio. Con il Sars-Cov2 non ci siamo riusciti perché non sapevamo cosa dovessimo combattere. Ma oggi disponiamo di una piattaforma per la caratterizzazione dei virus animali e umani che in 5-7 giorni segnala se abbiano un potenziale pandemico. Prima il responso richiedeva mesi di lavoro, adesso possiamo lanciare il primo alert in una settimana, consentendo al sistema sanitario una reazione immediata». Cauta l’assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin: «Non è pensabile ipotizzare se un domani si renderà nuovamente necessario il ricorso al lockdown, dipende dal tipo di emergenza. L’esperienza vissuta con il Covid ci ha permesso di affinare le carenze sulle quali siamo stati presi alla sprovvista, perciò oggi abbiamo scorte di presidi medici nei magazzini, più letti di Terapia intensiva, procedure e terapie prima inesistenti. E un piano pandemico che sta cominciando ad essere operativo con le prime simulazioni sul campo». Nelle aziende sanitarie il personale è coinvolto in esercitazioni che partono dall’arrivo dell’e-mail di alert pandemia dal ministero della Salute e continuano con la mobilitazione della catena di comando e di tutte le figure e le strutture interessate alla gestione dell’emergenza.
«Siamo stati bravi»
Concorda Baldo («Bisogna cambiare qualcosa nella didattica di Medicina e nella formazione dei dottori di famiglia»), mentre il dottor Silvio Marafon, presidente dell’Associazione direttori Anestesia e Rianimazione Veneto e primario ad Arzignano spiega: «L’esperienza è servita, ospedali e reparti sono predisposti a ricavare aree di isolamento Covid, è aumentata la sensibilità alle infezioni. Con il senno di poi posso dire che siamo stati bravi a reggere l’urto di una quantità infinita di malati, ma adesso siamo stanchi. E quindi i medici che possono vanno in pensione o escono dal servizio pubblico e magari ci tornano da liberi professionisti, perché così coprono solo turni e servizi che vogliono, ma in questo modo si aggrava la carenza di personale. Già drammatica per più specialità, a partire dalla nostra. Gli anestesisti sono sempre meno, ai concorsi si presentano soprattutto gli specializzandi, però in Terapia intensiva e in sala operatoria c’è bisogno di strutturati — sottolinea Marafon —. E comunque i camici bianchi in formazione riescono a malapena a tamponare i pensionamenti. Il risultato è che girano per diverse Usl sempre gli stessi anestesisti, non c’è immissione di nuove forze e noi siamo costretti a fare i salti mortali per non ridurre attività».