Lo aveva detto ai medici, ben due volte in meno di 24 ore. Quella macchia rossastra sul braccio destro gli sembrava una puntura di zecca. «E se la febbre alta dipendesse da questo?», avevano sottolineato i familiari di Rosario Collura, pensionato delle ferrovie. Medici e infermieri, invece, gli hanno assicurato che quella era solo una febbre che doveva «sfogare». E dopo una flebo e la prescrizione di Tachipirina lo hanno mandato a casa. Per due volte.
Il pensionato, 64 anni, è morto martedì sera dopo il ricovero, ormai praticamente inutile, in terapia intensiva su disposizione del medico curante. Gli esami di sangue, post mortem, hanno rilevato la rickettsiosi, secondo quanto riferito ai familiari del pensionato dai medici. Rosario Collura sarebbe stato, quindi, punto da una zecca e si sarebbe potuto salvare con un semplice antibiotico.
Nella bufera finisce il pronto soccorso del- l’ospedale Buccheri La Ferla. La famiglia del pensionato ha sporto denuncia ai carabinieri contro medici e infermieri. Il sostituto procuratore Claudio Camilleri ha disposto il sequestro delle cartelle cliniche e nelle prossime ore, quando riceverà i risultati definitivi delle analisi del sangue, deciderà la data dell’autopsia. «Mio padre aveva il respiro affannoso e quelle macchie violacee su tutto il corpo. Nonostante questo ci è stato detto che potevamo stare tranquilli e di andare a casa aspettando che quella febbre passasse», dicono i figli del pensionato.
È mercoledì 6 agosto quando Rosario Collura si sente male, ha la febbre a 40. Moglie e tre figli, che abitano in corso dei Mille, arrivano al pronto soccorso più vicino, quello dell’ospedale Buccheri La Ferla. Nell’area di emergenza l’uomo viene sottoposto a un esame di sangue. «Tutti i risultati erano buoni — racconta il figlio Marco, il primogenito — tranne uno. Non mi hanno detto di cosa si trattava, ma solo che avrebbero eseguito un’ecografia all’addome, poi mai fatta. Fecero invece una radiografia al torace e una flebo, poi hanno prescritto la Tachipirina. Il medico ha anche detto che non c’era bisogno di assumere antibiotici». A ora di pranzo il signor Collura è dimesso. Ma durante la notte il pensionato sta di nuovo male.
«Decidiamo di ritornare al pronto soccorso — racconta Marzia, la figlia di 28 anni — e una dottoressa ha guardato mia mamma dicendole: “Deve stare a casa e smaltire la febbre”, nonostante le nostre insistenze. Mio padre respirava a fatica e non era lucido. Si addormentava all’improvviso. La dottoressa ci ha preso per esagerati e ha chiesto a mio padre: “Signor Collura ma lei dorme sempre?” e lui le ha risposto “Sì”. Per la dottoressa questo significava che mio papà era cosciente e per accontentarci ha attaccato una flebo a mio padre». La febbre arriva a 38,4, i medici decidono che il paziente può andare a casa e prendere una Tachipirina.
«Quando abbiamo aiutato mio padre ad alzarsi dalla barella, ci siamo accorti di quelle chiazze violacee su alcune parti del corpo — ricorda Marzia — e per tutta risposta il medico ci ha detto: “Non è colpa nostra, abbiamo fatto so- lo una flebo. Si tratterà di una reazione alla febbre. Eppure noi avevamo spiegato che papà spesso andava a passeggiare sul litorale di Romagnolo con il nostro cane Ettore e che forse lì aveva subito la puntura di una zecca. Oltretutto aveva anche quella macchia rossastra sul braccio. Ma loro sin da subito hanno escluso quell’ipotesi».
Alle 4 di notte la famiglia torna per la seconda volta a casa. «Papà aveva il respiro affannoso e la febbre era sempre più alta. Il termometro segnava 40,4». La situazione precipita alle 10 di giovedì. Le macchie sul corpo sono sempre più evidenti. «Aveva le estremità di dita e orecchie ormai nere e a quel punto abbiamo fatto delle foto e abbiamo chiamato il medico di famiglia. Il dottore è arrivato in tutta fretta — ricostruiscono ancora i figli — e ha chiamato il 118. Ha subito capito che quella era rickettsiosi. Mio papà è arrivato al Policlinico in codice rosso ed è stato intubato. Non respirava più da solo. Tutto dopo appena sei ore dalle seconde dimissioni decise al Buccheri La Ferla».
I medici del Policlinico allargano le braccia davanti alla gravità della situazione. «Ci dissero subito che gli organi erano tutti compromessi e che i reni non funzionavano più. A quel punto ci voleva solo un miracolo», continua Marzia. Rosario Collura dopo cinque giorni di agonia è morto martedì alle 23. Fino a ieri non è stato possibile ottenere una replica dal responsabile del pronto soccorso. «Oggi (ieri, ndr) imedicicihannoinformaticheiprimiesami di sangue rilevano tracce di rickettsiosi. La nostra rabbia e la nostra voglia di giustizia stanno in quella mancanza di assistenza dopo le nostre pressioni. Ma perché non hanno controllato meglio l’emoglobina — si chiede disperata la moglie del pensionato, Angela Corona — e poi perché hanno escluso con tanta superficialità una puntura di zecca? Bastava un semplice antibiotico e mio marito sarebbe ancora vivo. Non riusciamo ad accettare tutto questo. Mentre chiedevamo assistenza, la notte di mercoledì ricordo un vassoio di dolci che un’infermiera aveva aperto in una stanza. Andai su tutte le furie».
Repubblica – 14 agosto 2014