Emergenza epatite A in città. Dall’inizio dell’anno il Servizio di Igiene e Sanità pubblica dell’Usl 6 Euganea ne ha registrato un centinaio di casi, contro i 16 del 2016. E l’anno deve ancora finire. Una vera epidemia. «E’ una malattia contagiosa, che si trasmette attraverso contatti oro-fecali ma anche tramite il consumo di acqua o di alcuni cibi, crudi o non cotti a sufficienza, contaminati dal virus. Oppure manipolati da soggetti infetti che non usano i guanti e non si lavano le mani — spiega la dottoressa Ivana Simoncello, direttore del Servizio d’Igiene — stiamo vaccinando molti utenti. La maggiore diffusione dell’epatite A è legata anche ai nuovi stili di vita». Come l’abitudine o la necessità di mangiare spesso fuori, la passione per il pesce crudo, costumi sessuali più «liberi», che contemplano rapporti con più partner o promiscuità.
A rischio la comunità omosessuale maschile, che dunque l’Usl ha contattato, attraverso le associazioni, per invitarne gli appartenenti a proteggersi vaccinandosi. Un appello subito recepito, a giudicare dalle decine di cittadini, anche minorenni, che si sono presentati al Servizio d’Igiene per sottoporsi alla prevenzione. L’epatite A è un’emergenza, secondo l’Istituto superiore di Sanità, che in Italia nel periodo compreso tra agosto 2016 e febbraio 2017 ha rilevato 583 casi: un numero 5 volte maggiore rispetto al trend relativo allo stesso periodo dell’anno precedente. L’età media dei pazienti è di 34 anni, l’85% è di sesso maschile e il 61% dichiara preferenze omosessuali. Inizialmente il maggior incremento di casi era stato osservato nel Lazio, ma poi è stata riscontrata un’impennata anche in Piemonte, Lombardia e Veneto. «L’epatite A è un’infezione virale, che può creare seri danni al fegato — illustra la dottoressa Simoncello — ecco l’importanza della prevenzione».
Tra i casi esaminati dall’Usl c’è anche quello di un bar del centro storico, la scorsa primavera sottoposto a controlli perchè parrebbe che un addetto alla manipolazione degli alimenti sia stato contagiato. Ma non è stato provato alcun nesso di casualità con nessuno dei cento soggetti curati a Padova dall’inizio dell’anno. Il locale inoltre non è mai stato chiuso perchè non sono state riscontrate condizioni igienico-strutturali tali da comportare tale misura. In questi casi l’Usl invia al gestore una diffida ad allontanare dalla manipolazione dei cibi il dipendente infetto, per destinarlo ad altri incarichi, magari alla cassa, una volta curato e guarito.
Il Corriere del Veneto – 31 agosto 2017