Lo ripetono da anni i primari e la Scuola di Medicina: l’ospedale di Padova cade a pezzi. E in effetti il primo pezzo è caduto. Mentre il progetto della nuova cittadella sanitaria resta incagliato nei meandri della politica, si scopre che la Clinica Pediatrica soffre di «lacune statiche tali da consigliarne l’evacuazione entro 10 giorni».
Lo ha comunicato al direttore generale dell’Azienda ospedaliera, Luciano Flor, il professor Renato Vitaliani, ordinario di Tecnica delle costruzioni, nell’ambito di indagini sulla sicurezza antisismica dell’edificio, snodato su quattro piani, inaugurato il 24 luglio 1956 e di proprietà dell’Ateneo. La perizia è allegata al progetto esecutivo della Terapia Intensiva pediatrica da realizzare, con un finanziamento regionale di 1,4 milioni, all’interno di un lotto comprensivo anche di interventi al Policlinico per 8,3 milioni di costi e in Divisione ostetrica per 1,3. Ma a questo punto la parte relativa alla Pediatria è «congelata», in attesa di ulteriori verifiche affidate all’Università, che entro fine mese dovrà tracciare la diagnosi definitiva. «Dobbiamo capire se procedere con un restauro conservativo o demolitivo — spiega Flor —. Nel primo caso si potrebbe operare su tre stralci verticali terra-cielo, evacuando ogni volta un terzo della Clinica al primo piano dell’Ortopedia, liberato dalla Lungodegenza. Però significherebbe spostare 700-800 persone a porzione tra pazienti, familiari e personale e comunque bisognerebbe essere sicuri della totale assenza di rischio. Se invece emergesse anche il minimo pericolo, svuoteremmo il complesso e opteremmo per un intervento più pesante, che richiederebbe l’abbattimento dei muri perimetrali, 4-5 anni di lavori e una spesa di almeno 20 milioni di euro. In questa seconda fattispecie, non disponendo degli spazi adeguati ad ospitare la Pediatria in un’altra ala della cittadella, potremmo trasferirla all’ospedale Sant’Antonio, gestito dall’Usl 16 e di proprietà della Regione».
E infatti martedì i vertici di Azienda ospedaliera, Usl 16, Ateneo e Regione si sono incontrati per discutere le sorti della Pediatria, nel frattempo sotto monitoraggio. Ogni giorno un ingegnere si accerta che non ci siano problemi di tenuta, finora non emersi. «Non c’è nessun rischio», assicura Luca Coletto, assessore alla Sanità. «Al Sant’Antonio non converrebbe portare solo i 5mila metri quadri della Clinica pediatrica, comprensivi di Pronto soccorso — aggiunge Flor —. Sarebbe più utile trasformarlo nell’ospedale materno-infantile, completandolo con Clinica e Divisione ostetrica, Oncoematologia e Chirurgie, per un totale di 17mila metri quadri, tollerabili dal polo in oggetto. Uno dei punti di forza della Pediatria è proprio il suo carattere unitario». I reparti del Sant’Antonio andrebbero smistati tra Azienda ospedaliera e «Immacolata concezione» di Piove di Sacco, altra struttura dell’Usl 16. Il trasferimento (che durerebbe mesi) doterebbe la Pediatria di spazi finalmente adeguati, dopo 30 anni di sofferenze: ora ci sono 3 bagni per 28 famiglie, per esempio. «La Clinica, che conta 11 reparti, 400 dipendenti, 25mila accessi al Pronto soccorso e 12.500 ricoveri all’anno, non può aspettare 7-8 anni un nuovo ospedale — conviene il primario, professor Giorgio Perilongo —. Anche perché siamo centro di riferimento regionale per le cure palliative, l’hospice, la Neonatologia, le reti di Oncologia, Nefrologia, Cardiologia, Neurologia, Reumatologia, abbiamo una delle scuole di specialità più importanti d’Italia e il punto nascite numero uno in Veneto». In attesa della «diagnosi finale», un concetto è stato ribadito nella riunione di ieri col personale: l’attività prosegue. «Dobbiamo tutelare i malati e il personale ma anche preservare l’operatività di una realtà così importante — conferma il rettore Rosario Rizzuto —. Non possiamo pensare neanche un attimo di interrompere il servizio nè di ridurlo».
Michela Nicolussi Moro (ha collaborato Alessandro Macciò) – Il Corriere del Veneto – 11 marzo 2016