Con l’approvazione da parte dell’assemblea dei soci del bilancio consuntivo 2016, in attivo di 15.952 euro (principali finanziatori Fondazione Cariparo con 754.773 euro e Fondazione CdS con 1,9 milioni), l’Istituto di ricerca pediatrica Città della Speranza chiude i suoi primi sette anni. E inaugura l’«era della riforma», quella approvata il 28 febbraio scorso all’unanimità dal cda dopo le dimissioni del direttore generale Stefano Bellon e undici mesi di lavoro da parte del tavolo tecnico guidato dal presidente Andrea Camporese, che ha introdotto una governance «manageriale» dell’ente nato nella Torre della ricerca, forte di 295 scienziati. Ieri, concluso il mandato triennale del presidente, si è insediato il nuovo Consiglio di amministrazione, forte di sette componenti: lo stesso Camporese, il professor Giuseppe Basso (direttore della Clinica di Oncoematologia pediatrica), Franco Masello (presidente della Fondazione Città della Speranza), il professor Marco Alessandro Pierotti, direttore scientifico uscente, tutti nominati dalla Fondazione CdS; il professor Antonio Parbonetti, prorettore, e il professor Giorgio Perilongo, direttore del Dipartimento di Salute della donna e del bambino, scelti dall’Università; Luciano Flor, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera. Nella prossima seduta (entro fine mese) il consiglio, ecco la prima novità, dovrà nominare un amministratore delegato, chiamato a garantire l’equilibrio economico-finanziario dell’Istituto; un direttore scientifico, stavolta dotato di budget per i progetti di ricerca; un Comitato scientifico formato dai Principal Investigator presenti nella torre e da due rappresentanti nominati dall’Ateneo e dal Dipartimento di Pediatria; uno Scientific Advisory Board per la supervisione scientifica.
«Una rivoluzione dettata dall’esigenza di aprirci alla società civile — spiega Camporese — al punto che presidente, ad e direttore scientifico possono essere anche soggetti esterni. E poi ogni decisione dovrà passare in cda con la maggioranza qualificata, cioè 5 voti su 7, così nessuno potrà imporsi. Andando all’estero a visitare le strutture pediatriche più avanzate mi sono reso conto che l’Istituto può funzionare e attirare sempre più cervelli, fondamentali a portare la ricerca al letto dei bambini malati, se saprà coinvolgere il territorio e costruire sempre nuove collaborazioni. Bisogna lavorare tutti insieme».
Le basi da cui partire sono solide: il 2016 ha visto importanti cambiamenti nel reperimento fondi, con molti ricercatori ed équipe che, presentando progetti in qualità di soggetti affiliati all’Istituto di ricerca pediatrica, hanno attratto finanziamenti per l’anno in corso da AIRC, Fondazione Veronesi, Fondazione Berlucchi, Fondazione Just. Altri protocolli sono stati proposti a Roche e Telethon, mentre cresce l’attività scientifica riferibile a grant (assegni di ricerca) di varia provenienza. Tutto ciò può essere considerato uno degli indicatori di attrattività e incornicia il primo Report scientifico prodotto, in inglese, dall’Istituto. E concentrato su tre aree: Oncologia pediatrica, Medicina rigenerativa e Nanomedicina. «Siamo in crescita — conferma Camporese, che non si ricandida — e mi preme sottolineare che resterà con noi la Fondazione Cariparo. Pur uscita dal cda, ci ha garantito 3 milioni di euro per il triennio 2017/2019 e un ulteriore sostegno per i successivi quattro anni. Sono orgoglioso del lavoro svolto fino qui, dell’integrità morale e dell’impegno non comuni riscontrati in tutti gli attori del nostro progetto».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 19 luglio 2017