La prova cruciale per Matteo Renzi si avvicina a grandi passi. Il ministero dell’Economia ha trasmesso a Palazzo Chigi le due diligence predisposte dagli esperti sui risultati delle attuali gestioni delle grandi imprese di Stato i cui manager sono in scadenza. E il momento delle decisioni che coinvolgeranno un numero di nomine senza precedenti (350) sta per arrivare.
Ieri il sottosegretario alla Pubblica amministrazione Angelo Rughetti ha ribadito al Fatto Quotidiano un concetto espresso più volte: l’intenzione di non confermare nello stesso posto i manager che hanno già alle spalle tre mandati. Un criterio che, applicato in modo meccanico, farebbe automaticamente saltare tutti i pezzi da novanta.
Ma è un disegno che dovrà fare i conti con un paio di problemini. Il primo è la natura di alcune aziende per le quali si dovrà procedere al rinnovo delle cariche. Le società quotate, come Enel, Eni, e Terna sono esposte al giudizio del mercato, che potrebbe non gradire avvicendamenti dettati puramente dalla regola del tre.
Il secondo problema riguarda invece sempre il solito rapporto fra le nomine pubbliche e la politica. E la linea del Piave a sua difesa è quella che si sta scavando alle Poste. Con il limite dei tre mandati l’amministratore delegato Massimo Sarmi sarebbe ampiamente fuori gioco: quello che sta completando è addirittura il quarto giro consecutivo. Ossia, dodici anni. Già direttore generale di Telecom Italia e poi al timone della Siemens Italia, venne nominato al vertice della più grande impresa pubblica statale nel lontano 2002. All’epoca si disse che era sponsorizzato dal segretario di Alleanza nazionale Gianfranco Fini. Ma poi quella colorazione si è via via sbiadita, virando decisamente verso il biancofiore più centrista. Fino a diventare irrinunciabile, Sarmi, per il leader del centrodestra Angelino Alfano. Il quale avrebbe fatto a Renzi una sola richiesta per questa tornata di nomine: la conferma ulteriore di colui il quale, fresco azionista dell’Alitalia, si appresta a portare le Poste in Borsa.
Ed è chiaro quale sarebbe la conseguenza. La conferma di Sarmi nell’attuale incarico sbriciolerebbe quella regola del tre che solo a parlarne ha già fatto venire l’orticaria ai veterani. Rendendo possibili scenari che i renziani più ansiosi di cambiamenti vedono come il fumo negli occhi. Per esempio la permanenza di Paolo Scaroni ai piani alti dell’Eni. Non più come amministratore delegato, visto che lo statuto della compagnia petrolifera di cui lo Stato italiano è azionista di riferimento già contempla il limite massimo dei tre mandati. Piuttosto, invece, come presidente con deleghe, affiancato da un amministratore interno. Tipo il direttore generale Claudio Descalzi. Questo almeno potrebbe essere il piano gradito a Scaroni. Anche se è noto che da tempo Renzi avrebbe pensato a una soluzione molto diversa: portare all’Eni Vittorio Colao, attuale amministratore del colosso della telefonia mondiale Vodafone ed ex amministratore delegato di Rcs, gruppo che edita questo giornale.
Certo è che la partita vera delle nomine si giocherà su questi pochi incarichi chiave nelle grandi aziende. Dall’Eni alle Poste, dall’Enel alla Finmeccanica: d’obbligo ricordare che sono in scadenza anche i vertici della holding delle industrie della difesa, alla cui presidenza l’esecutivo di Enrico Letta ha collocato non più tardi di un anno fa l’ex capo della Polizia Giovanni De Gennaro. Evidente che pure questo rappresenterà il banco di prova della reale portata innovativa dell’offensiva di Renzi.
Un primo segnale si potrebbe avere già oggi, quando alla Camera il governo dovrà rispondere a una interpellanza con la quale il Movimento 5 Stelle ha chiesto «chiarimenti sullo stato di avanzamento della selezione dei manager pubblici» nonché sulle «decisioni assunte in materia di nomine pubbliche» sollecitando non soltanto l’applicazione rigorosa dei criteri di «onorabilità, competenza e professionalità» previsti dalla direttiva approvata il 24 giugno dello scorso anno, ma addirittura introducendone di nuovo, quali appunto «il limite dei mandati» e l’età degli amministratori.
Ma se nelle aziende pubbliche il nuovo che avanza resta ancora un rebus, comincia a sciogliersi invece in qualche caso l’incantesimo di Palazzo Chigi. Dove si riaffacciano volti ben noti della potente burocrazia romana, proprio quella a cui la pattuglia renziana sembrava aver dichiarato guerra. Da settimane corre voce di un importante incarico per Salvo Nastasi, da una decina d’anni dirigente dei Beni culturali: con Giuliano Urbani, con Rocco Buttiglione, con Francesco Rutelli, e poi capo di gabinetto di Sandro Bondi, quindi con Giancarlo Galan, Lorenzo Ornaghi e Massimo Bray. I giornali rammentano il suo legame fraterno con il più renziano dei renziani, quel Dario Nardella cui Renzi ha affidato la città di Firenze. E ora la voce ha preso corpo. La destinazione promessa di Nastasi, quella di vice segretario generale della presidenza del Consiglio. Numero due nella stanza dei bottoni. Nessuno stupore: del resto non si era parlato di far «ruotare» gli alti dirigenti pubblici?
Sergio Rizzo – Corriere della Sera – 21 marzo 2014