Ci sarà anche il riordino dei servizi pubblici locali nel pacchetto di decreti attuativi della riforma della Pa atteso per il Consiglio dei ministri del 15 gennaio. Insieme al nuovo testo unico che definirà gli «ambiti o bacini territoriali ottimali», per organizzare lo svolgimento di servizi a rete contando su maggiori economie di scala e scopo, sarebbe poi confermato il riassetto delle società partecipate, atto che dovrebbe garantire il passaggio da circa 8mila a mille aziende pubbliche entro un anno, e la già anticipata semplificazione della conferenza dei servizi (con tetto a 60 giorni per le future autorizzazioni).
Confermati pure l’aggiornamento del Codice per l’amministrazione digitale (a gennaio parte la sperimentazione del Pin unico per accedere a tutti i servizi della Pa) e la semplificazione delle regole sulla trasparenza.
Il nuovo testo unico dei servizi locali sarebbe ancora al vaglio tecnico di Palazzo Chigi e dunque suscettibile di aggiornamenti. Le bozze in circolazione (32 articoli) fotografano un sostanziale passo avanti rispetto al tentativo di riordino fatto con il decreto 138/2011 (articolo 3-bis) in cui si puntava a una riorganizzazione sulla base degli ambiti territoriali omogenei. Nel testo si prevede l’istituzione di un Osservatorio presso il ministero per lo Sviluppo economico sulla complessa rete dei servizi pubblici territoriali che dovranno essere distrettuali. Si invita a uscire dalla logica per cui ogni Comune ha una sua società, allargando i confini per «organizzare lo svolgimento dei servizi a rete». E se le Regioni non procederanno alla definizione dei distretti entro 180 giorni, sarà lo stesso Consiglio dei ministri a farsene carico, dopo un tempo supplementare che non potrà superare i tre mesi.
Previsto anche il ricorso alla consultazione pubblica, laddove occorra verificare l’idoneità o meno del mercato a soddisfare le esigenze di interesse pubblico. Ma nel rispetto della legge delega, dove si cita il vincolo del risultato referendario sull’acqua del giugno 2011. Previsto poi un limite al rinnovo (che non sarà più automatico) dei diritti speciali o di esclusiva rilasciati. Mentre sul fronte della governance si prevede che «le funzioni di regolazione, di indirizzo e di controllo e quelle di gestione dei servizi pubblici di interesse economico generale sono distinte e si esercitano separatamente». Dietro al principio c’è la stretta sugli incarichi. Ecco che, ad esempio, ai componenti di organismi di indirizzo politico o di enti che abbiano funzioni di stazione appaltante o di controllo del servizio non possono essere conferiti incarichi di amministrazione o gestione. Divieto che si estenderebbe anche a coniugi e parenti.Scadenzati anche i controlli, il cui rispetto è rafforzato dalla previsione di multe. Più chiarezza, infine, sulle tariffe applicate.
Sul riassetto delle partecipate (si veda Il Sole-24 Ore del 2 gennaio) c’è la conferma per legge della possibilità di fallimento accompagnata dal piano di riordino che dovrebbe portare alla drastica riduzione del numero delle aziende attive (a partire dalla cancellazione di quelle con più amministratori che dipendenti; norma già prevista nella legge di Stabilità 2015) con una netta semplificazione della governance. Si tratta di uno dei passaggi più delicati della riforma, visto anche il numero degli occupati in queste aziende. Secondo l’Istat sarebbero poco meno di un milione. Ieri a questo proposito il segretario di Scelta civica e sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti ha detto «no a trattamenti differenziali per il personale delle società partecipate pubbliche che dovessero fallire: devono avere gli stessi diritti dei dipendenti delle società private, né più né meno. Basta con l’Italia dei due pesi e delle due misure». Intanto si scalda il fronte sindacale del pubblico impiego in attesa del rinnovo del contratto. Le categorie di Cgil, Cisl e Uil si sono date appuntamento per il 13 gennaio. In quella sede, secondo quanto si apprende, gli esecutivi nazionali metteranno a punto il calendario della mobilitazione. L’ipotesi sarebbe quella di partire da scioperi territoriali, su base regionale, per arrivare eventualmente a uno stop nazionale a ridosso dell’approvazione del Def, verso primavera.
D.Col. – Il Sole 24 Ore – 5 gennaio 2016