di Roberto Caselli. Il Sole 24 Ore sanita. Nella seduta del 4 giugno il Consiglio dei ministri ha accantonato la bozza di decreto legge circolata nei giorni precedenti, che il ministro Schillaci aveva predisposto per cercare di abbattere le liste di attesa nelle strutture sanitarie pubbliche e ha distribuito il contenuto, con molte integrazioni e modifiche, in due documenti: un decreto legge con le misure più urgenti di carattere organizzativo (che contiene anche novità per la tassazione delle prestazioni aggiuntive del personale sanitario) e un disegno di legge contenente in particolare le misure di carattere economico e contrattuale.
In questo breve commento, chi scrive ritiene opportuno richiamare l’attenzione dei parlamentari, in vista della discussione del decreto legge, che dovrà essere convertito il legge entro 60 giorni, esclusivamente sul trattamento fiscale previsto per le prestazioni aggiuntive.
Su questo punto si prende atto che l’articolo 7 del Dl “recante misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa per l’erogazione delle prestazioni sanitarie” prevede, all’articolo 7, titolato “Imposta sostitutiva sulle prestazioni aggiuntive del personale sanitario “, al primo comma che i compensi erogati per lo svolgimento delle prestazioni aggiuntive ai medici, nell’ambito dell’attività intramuraria, sono soggetti a un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 15 per cento.
Lo stesso trattamento fiscale è previsto, al secondo comma, per i compensi erogati per lo svolgimento delle prestazioni aggiuntive agli infermieri ed agli altri operatori del comparto sanità.
I commi successivi autorizzano, per l’attuazione di quanto previsto al primo comma, una spesa di 175,4 milioni di euro per l’anno 2025, di 116,7 milioni per l’anno 2026 e 116 ,3 milioni per l’anno 2027 e per l’attuazione di quanto previsto al secondo comma , una spesa di 22,7 milioni per l’anno 2025, di 15,4 milioni per l’anno 2026, di 15,4 milioni per l’anno 2027.
Il quinto comma prevede che le imposte sostitutive si applichino sui compensi erogati a partire dalla data di entrata in vigore del decreto. Per il primo periodo d’imposta, cioè per tutto il 2024, i compensi continuano a essere assoggettati alle ritenute ordinarie, salva la determinazione delle imposte sostitutive da parte del contribuente nella dichiarazione dei redditi, con relativo accredito in sede di conguaglio fiscale. Nei periodi d’imposta successivi le predette imposte sostitutive dovranno essere applicate dall’azienda. Per l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso, si applicano, in quanto compatibili, le ordinarie disposizioni in materia di imposte dirette.
La formulazione dell’articolo è tutt’altro che chiara e sarà bene che in sede di conversione in legge sia rivista, in modo da non generare equivoci. La lettura di questo testo fa pensare a una contraddizione fra l’entrata in vigore immediata dell’imposta sostituiva e la copertura finanziaria che parte dal 2025.
L’ipotesi che, in attesa di chiarimenti ufficiali, appare plausibile è che da un punto di vista della “competenza economica” gli oneri per questa tassazione agevolata riguardano gli esercizi dal 2024 al 2026, mentre da un punto di vista di “cassa”, visto che è previsto che i beneficiari potranno ottenere uno sgravio parziale sulle imposte pagate tramite ritenute di acconto, solo su presentazione della dichiarazione dei redditi l’anno successivo ( in modo da non obbligare le aziende erogatrici a nuove procedure di liquidazione), gli oneri riguardano gli esercizi al 2025 al 2027.
Soffermiamoci ora sulla correttezza costituzionale sull’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali del 15%, conosciuta anche come “flat-tax” o “tassa piatta” o “tassa separata” (come figurava nella bozza di Dl accantonata).
Il reiterato ricorso a questo tipo di tassazione agevolata, con un’aliquota del 15% contro quella ordinaria del 43% sulla quota di redditi oltre 50.000 euro (oltre tutto senza un limite massimo di fatturato), costituisce a parere di chi scrive un nuovo “vulnus” alla nostra Carta Costituzionale, in quanto si scontra con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 (Tutti i cittadini sono eguali davanti alla Legge…) e con quelli, relativi agli obblighi, sanciti dall’articolo 53 , sia nel primo comma: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, sia del secondo comma: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Sono purtroppo già numerosi i ricorsi a questa formula, che oltre a privilegiare le rendite (finanziarie e immobiliari) rispetto ai redditi da lavoro, ha già creato una disuguaglianza fra i redditi di lavoro dipendente e di pensione da una parte e quelli di lavoro autonomo dall’altra.
Se ora si comincia a creare discriminazioni anche nell’ ambito del lavoro dipendente e di quello assimilato (come quello relativo all’intramoenia), creando una tassazione ibrida, si può prevedere che ogni comparto, pubblico o privato, invocherà, in sede di trattativa per i rinnovi contrattuali, analoghi benefici su incrementi economici legati alla produttività od al lavoro straordinario o su erogazioni “una tantum”.
L’estendersi dei privilegi contrasta inoltre con la pesante situazione debitoria del nostro Paese; ricordiamo che il Patto di stabilità prevede che, per mantenere il rapporto fra il debito pubblico e il Pil, per i prossimi anni dovremo abbattere il debito di 13 miliardi di euro ogni anno, per cui non si può continuare a favorire alcune categorie di contribuenti, spostando sempre i sacrifici a carico solo di una parte dei contribuenti e delle generazioni future.
È vero che i medici e gli altri operatori della sanità pubblica coinvolti nei piano di recupero delle liste di attesa meritano un trattamento economico migliore dell’ attuale, ma a parere di chi scrive si dovrebbe intervenire sul compenso lordo, non sulle modalità di tassazione: in altre parole dovrebbe aumentare lo stanziamento per compensi lordi più alti, che si avvicinino a quelli in vigore in altri Paesi dell’Unione Europea, che lo Stato recupererebbe peraltro attraverso un maggior introito dell’Erario per le maggiori ritenute fiscali che sarebbero operate.
La flat tax, oltre a costituire una forma di privilegio ingiustificabile dal punto di vista dei principi costituzionali, che dovremmo considerare un vincolo e non una semplice raccomandazione, comporta anche l’esonero dalle addizionali Irpef regionali e comunali, come se la presenza dei beneficiari sul territorio e l’utilizzo da parte loro dei servizi pubblici locali non costasse nulla alla comunità.
Non solo: quando una Regione, come avvenuto recentemente in Toscana, deve coprire un deficit nella gestione della sanità pubblica, ricorre a un aumento delle addizionali Irpef, in modo che solo i pensionati e i lavoratori dipendenti e una parte degli altri contribuenti, la cui tassazione rispecchia i principi costituzionali, sono gravati di questo costo eccezionale, come se la sanità pubblica non fosse usufruita anche da chi vive di rendita finanziaria o immobiliare, da chi svolge attività di lavoro autonomo in regime forfettario e da chi si trova nelle condizione prevista dal decreto legge.