Il Sole 24 Ore. Quasi tutti in ufficio dal 15 ottobre, che peraltro è un venerdì, e tutti «entro i 15 giorni successivi» (ma il 30 è un sabato e nei fatti il termine potrà slittare al martedì 2 novembre dal momento che il 1° è festivo). Poi lavoro agile con accordo individuale e solo in alternanza all’attività in sede, che dovrà essere «prevalente»; e solo se l’amministrazione garantirà un livello pieno di servizi, avrà a disposizione strumenti tecnologici per assicurare «la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni» trattate dal dipendente in Smart Working e metterà nero su bianco un «piano di smaltimento del lavoro arretrato, ove sia stato accumulato».
La bozza del decreto di Funzione pubblica che detta nella Pa le regole operative per il ritorno della presenza in ufficio come «modalità ordinaria» di svolgimento del lavoro detta tempi stretti e regole rigide. L’intenzione era chiara già negli annunci a più riprese del ministro per la Pa Renato Brunetta, tradotti la scorsa settimana nel Dpcm che archivia la regola emergenziale dello Smart Working. Ma il testo, che è stato inviato al Cts per i profili legati alla sicurezza epidemiologica e sarà ora al centro del confronto con gli enti territoriali in Conferenza Unificata, è particolarmente netto nella spinta al ritorno in ufficio. Subito.
Dopo la lunga stagione del lavoro a distanza anti-Covid, il calendario del rientro diventa serrato. I dipendenti pubblici interessati vengono divisi in due gruppi. Il primo, richiamato alla presenza entro il 15 ottobre, è popolato non solo da chi è occupato nelle «attività di sportello e di ricevimento degli utenti», ma anche da chi lavora nei «settori preposti all’erogazione di servizi all’utenza». In pratica, restano fuori solo gli addetti alla macchina amministrativa; che comunque dovranno rientrare «entro i quindici giorni successivi».
Per combattere l’affollamento, si potrà far ricorso alla «flessibilità degli orari di sportello e di ricevimento dell’utenza», e anche le fasce orarie di ingresso e uscita potranno oscillare anche in deroga ai criteri dei contratti nazionali (Sole 24 Ore del 27 settembre). Alla soluzione migliore dovrebbero pensare i «mobility manager» previsti da un decreto del 12 maggio, ma spesso ancora assenti soprattutto fuori dagli enti più grandi.
Lo Smart Working non è cancellato, ma molto ridimensionato. Torna il passaggio dall’intesa individuale, chiamata a fissare «gli specifici obiettivi della prestazione» agile, le modalità e i tempi di esecuzione (e di disconnessione) e «i criteri di misurazione» dell’attività; un esame, questo, che potrà decretare anche la fine dello Smart Working del dipendente interessato in caso di esito negativo.
Si tratterà poi di uno Smart Working ibrido,a rotazione, e alternato alla presenza in ufficio che dovrà occupare la maggior parte del calendario. E potrà essere concesso solo con la garanzia di non «pregiudicare o ridurre» i servizi all’utenza, e con infrastrutture tecnologiche in grado di assicurare la riservatezza dei dati. Le Pa dovrebbero poi impegnarsi a fornire ai dipendenti apparati «adeguati» al lavoro a distanza. E programmare un piano di smaltimento degli eventuali arretrati accumulati nei mesi scorsi.