Repubblica. «Il contratto è nazionale e tale deve restare». Il ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo esclude il ritorno alle gabbie salariali, di cui si discute in questi giorni dopo la proposta del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, ma ragiona sulla possibilità di «tenere conto delle differenze territoriali del costo della vita attraverso il contratto integrativo». Non solo: la parte accessoria dello stipendio va usata soprattutto per «introdurre meccanismi di premialità per le persone che hanno performance eccellenti», anche per rendere più attrattiva la Pa.
Qual è la previsione di nuove entrate per quest’anno?
«Puntiamo all’assunzione di 156.400 nuovi dipendenti in sostituzione dei dipendenti che andranno in pensione. Stiamo facendo un lavoro molto intenso sulle procedure concorsuali, e con l’avvio del Pnrr è entrato in funzione inPa, il nuovo portale del reclutamento che raccoglie oltre 6 milioni di profili professionali e che estende il suo perimetro di ricerca a 16 milioni di iscritti a Linkedin Italia. Da gennaio è obbligatorio per le amministrazioni centrali e da maggio per gli enti territoriali. Si tratta di un importante strumento di semplificazione, perché fa venir meno l’obbligo di pubblicare i bandi nella Gazzetta Ufficiale, e le procedure diventano interamente digitali».
Però sta capitando sempre più spesso che i vincitori rinuncino subito o dopo pochi mesi, soprattutto se si tratta dei contratti a tempo determinato del Pnrr.
Come convincerli a restare?
«I contratti del Pnrr hanno una durata abbastanza lunga, e permettono di maturare un’esperienza significativa che verrà valorizzata con percorsi preferenziali nelle procedure concorsuali per l’inserimento definitivo nella Pa. Più in generale, dobbiamo migliorare i termini dell’offerta, con attenzione anche agli aspetti retributivi, avvicinandoci maggiormente ai valori di mercato e proponendo percorsi professionali motivanti. Va migliorata la capacità di premiare il merito: ho lavorato per trent’anni in importanti aziende multinazionali eho imparato che le organizzazioni che funzionano e portano a casa risultati sono quelle in cui il livello di soddisfazione del capitale umano è alto, e le persone sentono un senso di orgoglio e di appartenenza».
Differenziare i salari può significare anche tener conto del costo della vita?
«Se vogliamo lavorare sul merito, la leva retributiva è importante. I rinnovi dei contratti 2019-2021 per i comparti sanità, scuola ed enti locali sono stati un primo segnale, ma non basta: deve seguire un approccio che tenga conto dei valori di mercato,tenendo conto del contesto economico complesso in cui viviamo, ma questo vale al Nord come al Sud. Il contratto è nazionale e tale deve restare, altrimenti dopo gli insegnanti ci potrebbero essere i poliziotti, i carabinieri e via via tutti gli altri. Possiamo però utilizzare strumenti come la contrattazione accessoria per riconoscere le peculiarità dell’area in cui si vive.
Senza però pensare di tornare alle gabbie salariali».
A proposito di attrattività della Pa, un’indagine di Fpa la dà al 64%.
«Il dato rappresenta senza dubbioun’inversione di tendenza nella percezione che gli italiani hanno della Pubblica Amministrazione.
Soprattutto tra i giovani: ben il 29% degli intervistati tra i 18 e i 34 anni considera la Pa come una opportunità di lavoro valida e professionalizzante».
Lo stesso report però ci dice che le risorse per la formazione professionale sono ancora poche.
«Abbiamo appena avviato un percorso di formazione professionale per tutti i dipendenti, per fornire competenze per la trasformazione digitale».
Anche lo smart working può essere una leva per attirare i giovani. Il suo predecessore non ne aveva una buona opinione. E lei?
«Le dò un dato: nel 2022 ci sono state 560 mila dipendenti della Pa che hanno fatto ricorso allo smart working nonostante l’”avversione” del mio predecessore. E le previsioni sul 2023 è che si superaranno le 600 mila persone. Cambiando paradigma, perché lo smart working presuppone una organizzazione del lavoro per obiettivi».
Pensione a 70 o 72 anni per i dipendenti pubblici: se n’è parlato in questi giorni, che ne pensa?
«Penso che ci possano essere delle situazioni di particolare emergenza che suggeriscano la possibilità di intervenire con provvedimenti specifici, in settori come la sanità per esempio. È un tema che mi trova d’accordo soltanto se a questa possibilità si affiancano però anche percorsi in grado di favorire l’inserimento dei giovani, con meccanismi di tutoraggio e di affiancamento».
Sta per arrivare il decreto semplificazioni. Cosa cambierà?
«Stiamo lavorando a stretto contatto con il ministro Fitto a una quarantina di procedure amministrative che riguardano le attività artigiane, cercando di eliminare le complicazioni burocratiche inutili.
Proseguiremo: entro il 2024 dovremo aggredire 200 procedure, 600 entro il 2026. Ma non sarà un lavoro fatto a tavolino: abbiamo avviato un tour in tutta Italia, incontreremo enti territoriali ed associazioni di categoria per capire quali sono gli interventi più utili»