Per evitare rischi di distribuzioni a pioggia la riforma ridefinisce il sistema degli indicatori articolandoli in obiettivi «nazionali» e «specifici». Il 50% dei soldi destinati a premiare la produttività dei dipendenti pubblici va concentrato sul 25% del personale, e il resto può essere distribuito fra tutti gli altri, con possibilità per i contratti nazionali di modificare un po’ il confine fra i due gruppi. Il nuovo giro nella giostra delle percentuali che provano a evitare l’assegnazione indifferenziata dei premi di produttività negli uffici pubblici arriva dall’ultima versione del decreto legislativo preparato per attuare la riforma Madia del pubblico impiego. La questione sembra tecnica, ma proprio qui si nasconde il principale nodo, politico e operativo, da sciogliere per provare davvero a rinnovare i contratti ai 3,2 milioni di persone che lavorano nello Stato e negli enti territoriali. Il testo dovrebbe essere la settimana prossima al centro del confronto con enti territoriali e sindacati.
Prima di approdare in consiglio dei ministri intorno a metà febbraio insieme ai decreti correttivi su partecipate, anti-assenteismo e direttori sanitari.
Chi ha seguito le travagliate vicende dei tentativi di riforma del pubblico impiego ricorda che sui premi di produttività si erano concentrate anche le norme-bandiera della legge Brunetta del 2009, che avevano introdotto le tre «fasce di merito» («almeno tre» in Regioni ed enti locali) per distribuire gli incentivi: al 25% dei dipendenti, considerati i “migliori”, sarebbe dovuto toccare il 50% dei premi, l’altro 50% sarebbe finito alla metà del personale, caratterizzata da giudizi “medi”, e l’ultimo 25% degli organici si sarebbe visto azzerare i premi. La distribuzione selettiva, poi, avrebbe dovuto assorbire la «quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato».
Il congelamento della contrattazione pubblica intervenuto pochi mesi dopo l’approvazione di quella riforma ha subito fermato ai box le nuove regole, e ora il nuovo intervento le riscrive daccapo con una robusta dose di flessibilità in più. Prima di tutto, viene cancellato l’obbligo di far confluire nei premi di produttività la «quota prevalente» (cioè almeno il 50% secondo l’interpretazione più ovvia) dei fondi accessori, che servono anche a finanziare le tante indennità particolari aggiuntive allo stipendio base, da quelle di turno a quelle di rischio o disagio. Concentrare più della metà dei fondi sulla produttività, infatti, avrebbe messo a rischio in alcuni casi le coperture per i turni degli infermieri o per le indennità dei vigili urbani, solo per fare un paio di esempi.
Il nuovo testo prova a togliere però anche l’altro ostacolo che farebbe alzare le barricate sindacali, cioè l’azzeramento per legge dei «premi» a una quota dei prefissata di dipendenti pubblici, che per i diretti interessati avrebbe potuto produrre di fatto un rinnovo contrattuale tale da alleggerire la busta paga.
Qui, però, arriva il nodo politico più delicato, perché una regola così flessibile apre concretamente alla possibilità di legittimare il riconoscimento di qualche forma premiale anche quando la produttività effettiva latita. La conferma di una quota minima di dipendenti a cui azzerare i premi, com’è invece emerso nei confronti più o meno informali che hanno infittito l’agenda di queste settimane, avrebbe invece acceso l’opposizione dei sindacati.
Nel tentativo di contenere i rischi di legittimare le più classiche distribuzioni “a pioggia” dei premi ai dipendenti pubblici, la riforma prova a ridefinire il sistema degli indicatori, articolandoli in «obiettivi nazionali» fissati dalla Funzione pubblica e «obiettivi specifici» per ogni amministrazione (si veda Il Sole 24 Ore del 28 gennaio). Il mancato rispetto delle regole sulla valutazione e sul ciclo delle performance, poi, può costare al dirigente il taglio della retribuzione di risultato e, nei casi più gravi, fino al licenziamento disciplinare.
Per i casi in cui la mancata produttività si manifesta nei tratti più evidenti dell’assenteismo, la riforma introduce regole aggiuntive per contrastare il fenomeno. Viene confermata la richiesta ai contratti nazionali di prevedere tagli ai fondi per i «premi» nelle amministrazioni in cui le assenze si rivelano superiori alle medie di settore, o particolarmente concentrati nelle giornate utili all’effetto ponte oppure nei periodi più critici per garantire la continuità del servizio (il caso dei Vigili di Roma a Capodanno del 2015).
Un riordino interessa infine le visite fiscali, che andranno gestite dall’Inps d’ufficio o su richiesta dell’amministrazione; le fasce di reperibilità, poi, saranno armonizzate con quelle previste per il settore privato.
LA SCHEDA. PRODUTTIVITÀ DALLE VECCHIE FASCE ALLE NUOVE REGOLE
LA LEGGE BRUNETTA
Le regole fissate dalla legge Brunetta del 2009 – congelate dal blocco della contrattazione nel pubblico impiego – hanno introdotto tre «fasce di merito» per distribuire gli incentivi: al 25% dei dipendenti, considerati i “migliori”, sarebbe dovuto toccare il 50% dei premi, l’altro 50% sarebbe finito alla metà del personale con giudizi “medi”, e l’ultimo 25% degli organici si sarebbe visto azzerare i premi. La distribuzione selettiva, poi, avrebbe dovuto assorbire la «quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato»
LA RIFORMA MADIA
Il decreto di attuazione della riforma Madia del pubblico impiego libera i premi di produttività dalla “gabbia” delle fasce prevedendendo di concentrare il 50% dei fondi sul 25% del personale. Quello che resta potrà essere distribuito tra tutti gli altri evitando in questo modo l’azzeramento per legge dei «premi» a una quota prefissata di dipendenti pubblici. Ma per evitare il rischio di legittimare distribuzioni “a pioggia” viene ridefinito il sistema degli indicatori, articolandoli in «obiettivi nazionali» fissati dalla Funzione pubblica e «obiettivi specifici» per ogni amministrazione
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 4 febbraio 2017