Negli ultimi due anni la pubblica amministrazione italiana ha perso circa 190mila dipendenti. E l’esodo è destinato a continuare perché la corsia di l’uscita è affollata e fluida mentre quella di entrata continua a essere rallentata dai tempi necessari a chiudere i concorsi. Con il risultato che l’anno prossimo potrebbe vedere il superamento dei pensionati pubblici sui dipendenti, che si stanno incrociando in questi mesi intorno a quota 3 milioni.
I numeri emergono dalla ricerca annuale sul lavoro pubblico realizzata da Forum Pa, il Forum della pubblica amministrazione che quest’anno si svolge interamente online per ragionare sulla «Resilienza digitale»: tema non semplice per una Pa invecchiata dalla lunga fase delle assunzioni contingentate, con un’età media di 50,7 anni che sale a 54 nell’amministrazione centrale, con 540mila persone che hanno superato i 62 anni e 198mila che hanno già totalizzato 38 anni di anzianità, e impoverita da scelte di spending review non proprio strategiche come il taglio del 41% in dieci anni delle spese per la formazione dei dipendenti.
È un’amministrazione in queste condizioni a dover affrontare il cambio di scenario prodotto dallo Smart Working, che l’emendamento appena approvato al decreto 34 (Sole 24 di domenica) rilancia in modo strutturale con l’obiettivo di riservarlo quest’anno al 50% dei dipendenti impiegati nelle attività in cui la presenza non è indispensabile per salire poi al 60%.
Il correttivo, targato M5S e costruito alla Funzione pubblica guidata dalla ministra Cinque Stelle Fabiana Dadone, ha inevitabilmente acceso la polemica politica.
Il segretario della Lega Salvini, concentrandosi sulla proroga al 31 dicembre della regola nata in emergenza che concede il lavoro agile senza obbligo di intesa formalizzata, ha parlato di «atto irrispettoso verso i lavoratori del privato e gli autonomi». La ministra ha risposto per le rime chiedendo di «abbracciare forte chi non concepisce il senso di una rivoluzione collettiva».
Battibecchi a parte, la questione è seria. La stessa Dadone, intervenendo al Forum, ha precisato che i numeri scritti nella nuova norma vanno intesi come obiettivi e non come «una percentuale fissa per tutti», perché l’articolazione del lavoro agile va «calata sulla diversa natura delle varie amministrazioni, e anche sul diverso livello di digitalizzazione». In ogni caso per passare dal telelavoro d’emergenza di questi mesi a un effettivo Smart Working diffuso servono investimenti in tecnologia e verifiche effettive sull’attività: la norma inserita nel decretone anticrisi torna a chiedere «verifiche periodiche dei risultati conseguiti anche in termini di qualità dei servizi erogati», ma fin qui tutte le regole simili o uguali che l’hanno preceduta sono rimaste quasi sempre pure petizioni di principio.
Ma a svuotarsi, oltre agli uffici, ci sono appunto gli organici, a un ritmo che non riesce a essere compensato né dai concorsi né dalle regole, come quelle per Comuni e Regioni, che hanno cancellato il vecchio turn over introducendo parametri rivelatisi però ancora più rigidi. Questo equilibrio già parecchio precario è stato rotto dal successo che «Quota 100» ha mietuto soprattutto negli uffici pubblici: nel 2019 sono saliti su questo treno 90mila persone, altre 83mila sono attese quest’anno intensificando la passione dei dipendenti pubblici per l’uscita anticipata: nella Pa il pensionamento per raggiunti limiti di età arriva solo nel 13,8% dei casi, contro il 20% del privato e il 28% fra i lavoratori autonomi. E i conti di Quota 100, non tornano nemmeno sul piano economico: perché il bilancio consolidato della Pa ha risparmiato 1,4 miliardi in stipendi, ma ha visto crescere di 3 miliardi i trasferimenti previdenziali.
Il Sole 24 Ore