Lorenzo Gottardo. Pochi giorni fa, a margine del suo intervento dal palco dell’assemblea Anci di Bari, il premier Renzi ha annunciato che lo Stato italiano tornerà presto a bandire concorsi di assunzione nella Pubblica amministrazione: «Diecimila posti di lavoro suddivisi tra forze dell’ordine, infermieri e dottori». Un numero che però potrebbe anche non bastare, soprattutto nel caso degli infermieri.
«Per salvare il nostro Sistema Sanitario Nazionale dal collasso ne servirebbero almeno 25 mila», è l’allarme lanciato da Cecilia Taranto, responsabile per la Sanità della segreteria nazionale Fp Cgil. Un’affermazione che sembra trovare riscontro nei dati a disposizione. Secondo l’analisi del Conto Annuale, periodo dal 2007 al 2014, pubblicata dalla Ragioneria Generale dello Stato, infatti, il Ssn ha perso in soli 5 anni 30 mila dipendenti, di cui si può stimare che un 70% siano infermieri e operatori socio-sanitari. Nel 2009 il personale ammontava complessivamente a 693 mila unità, ridotte poi a 663 mila nel 2014, e con una progressione simile è probabile che negli ultimi due anni se ne siano perse almeno altre 6 mila. «Ma se andassimo a vedere regione per regione il quadro sarebbe ancora più drammatico», prosegue la Taranto.
Un male diffuso
Perché, se c’è un aspetto che accomuna tutte le regioni del nostro paese, sembra proprio essere quello delle carenze a livello di personale operativo del sistema sanitario. Dai 1563 dipendenti in meno che lamentano le associazioni sindacali della Puglia, agli oltre 3000 che mancherebbero in Piemonte, fino alla piccola Valle d’Aosta che con soli 703 tra infermieri e operatori socio-sanitari ne avrebbe bisogno di altri 100. E questi sono solo alcuni dei numeri, mentre è più difficile fare una valutazione di regioni come Calabria, Molise e Campania che, sottoposte a piano di rientro, sono considerate tra quelle in più gravi condizioni.
Pazienti in aumento e corsie degli ospedali sempre più vuote, dunque. Le cause di una situazione del genere vanno ricercate essenzialmente nel progressivo blocco del turnover e delle assunzioni in un settore lavorativo dall’età media sempre più alta e considerato come estremamente logorante, tanto da essere inserito dal governo nella platea di lavoratori che potranno usufruire del cosiddetto «Ape social» per ottenere un accesso agevolato alla pensione.
All’estero
«Una realtà come quella di altri paesi europei, dove per ogni sei malati c’è un infermiere, sarebbe utopistica qui da noi, ma almeno bisognerebbe cercare di coprire i pesanti vuoti che vengono lasciati ogni anno – afferma la rappresentante della Cgil – anche perché altrimenti si mettono a rischio i diritti dei lavoratori, ma soprattutto la sicurezza dei pazienti». Cosa che, purtroppo, capita già adesso. Per mandare avanti gli ospedali e le altre strutture sanitarie in condizioni di personale ridotto, infatti, le amministrazioni sono tornate a mettere in discussione norme come la 161 del 2014 che garantisce ai dipendenti sanitari un riposo di 11 ore tra un turno di lavoro e l’altro.
O cercano comunque di aggirarle magari ponendo gli orari di reperibilità proprio in mezzo ai turni di riposo, azzerando le ferie e spostando personale da altri settori affidandogli mansioni per cui non è stato preparato a sufficienza. Come capita nei Pronto soccorso e nelle Emergenze, i reparti dove la preparazione di un infermiere è più importante e dove le carenze di personale oggi si fanno sentire maggiormente.
«Renzi propone un rattoppo, nient’altro. Per risollevare il nostro Sistema Sanitario Nazionale servirebbe un programma di turnover organizzato secondo le esigenze di ogni regione e non qualche migliaio di assunzioni una tantum», conclude Cecilia Taranto.
La Stampa – 17 ottobre 2016