Repubblica. Cala l’attività pubblica, cresce quella privata. Si potrebbe riassumere così, molto schematicamente, quanto sta accadendo alla sanità italiana dopo il Covid. E già così sarebbe preoccupante per chi crede in un sistema universalistico che dà a tutti assistenza e sempre della stessa qualità (possibilmente alta) gratuitamente o al costo del ticket. Ma le cose sono un po’ più complesse e per niente positive.
I dati sono di Agenas, l’Agenzia sanitaria nazionale delle Regioni, che ha un monitoraggio molto aggiornato sul lavoro delle amministrazioni locali. Tra le realtà medie e grandi che vanno peggio con i controlli ci sono la Sardegna (-36%), la Calabria (-30%) e la Sicilia (-29%). La migliore invece è la Toscana, (-10%), seguita da Marche, Puglia, Emilia-Romagna e Lombardia (- 15%).
E mentre il servizio pubblico non si riprende dal Covid, i privati fanno affari. Di recente è uscito il monitoraggio della spesa sanitaria del Mef relativo al 2021, anno nel quale, tra l’altro, le visite di controllo pubbliche andavano ancora peggio di adesso. Il ministero certifica che la spesa cosiddetta out of pocket, appunto completamente a carico del cittadino, l’anno scorso è salita a ben 37 miliardi di euro, contro i 34,8 del 2019. E in cinque anni la crescità è di quasi di 10 miliardi. Gli italiani comprano più attività privata, cioè visite, esami, farmaci, prestazioni dentistiche. Le strutture private accreditate e autorizzate, ad esempio, incassano circa 800 milioni di euro in più del 2019. Cala al contrario di 400 milioni la quota di partecipazione, cioè il ticket per le prestazioni nel pubblico. Due dati eloquenti.
Evidentemente ci sono persone che non riescono a fare i controlli nel pubblico a causa delle liste di attesa e comprano una prestazione privata, a un prezzo tra 50 e 250 euro se si tratta di una visita, anche di più per un esame. Ma non tutti possono permetterselo. Difficile stimare quanti restino ad aspettare nel pubblico perché non hanno soldi per il privato. “Stime precise non ce ne sono”, dice Cartabellotta, che pure si occupa di anche di studi sull’attività sanitaria. Si tratta di cittadini “invisibili”. Per risparmiare, chi può si fa un’assicurazione sanitaria. “Le polizze individuali non sono in crescita — dice il presidente di Gimbe — Le assicurazioni lavorano soprattutto agganciate ai pacchetti welfare, quindi con le società private. Così si crea una differenza tra chi ha un lavoro retribuito e chi no, che resta senza aiuto. E nelle aziende, comunque, il manager ha un piano sanitario migliore dell’operaio”. Un po’ schematico anche questo ma rende l’idea.