Ora si sa con certezza: nel Veneto mancano 1295 medici ospedalieri a fronte degli 8450 in servizio. Soprattutto nei Pronto soccorso, in Anestesia, Radiologia, Pediatria, Ginecologia e Chirurgia generale. Lo ha certificato Palazzo Balbi al ministro della Salute, Giulia Grillo, che ha chiesto questo dato a tutte le Regioni, per tracciare un quadro generale. Ciò che salta agli occhi nel report veneto, il primo a essere inviato (c’è tempo fino al 22 del mese), è che 357 posti vacanti sul totale citato si giustificano con la mancata partecipazione ai concorsi, andati deserti. Una realtà denunciata dai direttori generali delle dodici aziende sanitarie venete (a soffrire di più sono Belluno, per la specificità territoriale che dissuade molti dottori e, a sorpresa, l’Azienda ospedaliera di Padova e l’Usl di Verona, dove evidentemente i ritmi di lavoro sono particolarmente onerosi).
Ma anche dalla Regione, che più volte ha evidenziato la mancanza di corrispondenza tra le borse di studio programmate dal Miur nelle scuole di specializzazione e il reale fabbisogno in corsia, oltre al blocco del turnover indotto dall’obbligo di rispettare per la spesa del personale l’importo del 2004 meno l’1,4%. Da qui la richiesta del Veneto di poter assumere i neolaureati (peraltro già impiegati con contratti di libera professione per curare i codici bianchi al Pronto soccorso) e specializzarli sul posto di lavoro, come accadeva fino al 1995. «I concorsi vanno deserti perchè richiedono specialisti, che non ci sono — conferma Giovanni Leoni, segretario regionale della Cimo (ospedalieri) —. Una volta solo anestesisti e radiologi dovevano aver completato la specializzazione per partecipare ai bandi, che oggi si riducono a concorsi per stabilizzare gli aiuto primari. Bisogna aumentare le borse di studio, anche perchè il sottorganico ci costringe a un sovraccarico di lavoro per garantire comunque 80 milioni di prestazioni l’anno». «Risultato possibile grazie al milione di ore di straordinari non pagati all’anno, perchè sforano il tetto delle 250 ore contrattualmente pattuite e comunque retribuite con 30 euro lordi l’una e la maggiorazione del 30% se notturne — rivela Adriano Benazzato, segretario veneto di Anaao Assomed —. E con le prestazioni che le aziende acquistano a parte dai singoli medici, pagandoli anche con il 5% dei ricavi della nostra libera professione. Da anni non vengono sostituiti pensionamenti, malattie, maternità: sono molto preoccupato, il sistema pubblico rischia di crollare all’improvviso». Anche perchè è inarrestabile la fuga dei camici bianchi nel privato o all’estero, allettati da migliori condizioni di lavoro ed economiche.
Una schiarita arriva da Roma. «Stiamo lavorando per lo sblocco del turnover, cioè per eliminare l’obbligo di contenere la spesa del personale al valore del 2004 meno l’1,4% — annuncia il ministro Grillo, medico — e su questo abbiamo segnali di speranza. E’ poi in preparazione un decreto per consentire ai neolaureati di accedere ai bandi, che oggi vanno deserti per Medicina d’urgenza, Pediatria, Medicina generale e molte altre specialità. Il quadro è allucinante, ci sono due aspetti su cui ragionare: il numero chiuso al corso di laurea di Medicina e il problema urgente della specializzazione. Vogliamo trasformare il post-laurea costruendo un percorso di formazione-lavoro e ne stiamo discutendo con medici, Regioni e altri ministeri».
Quanto ai medici di famiglia, nel Veneto sono 3103 e la Regione non segnala carenze, benchè altri 844 siano in graduatoria ma rifiutano l’incarico, soprattutto se devono lavorare in zone disagiate.
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