Se non si cambia verso, il rischio di ripetere con un decennio di ritardo gli errori del NHS non è trascurabile. Il nostro SSN sta precipitando nel baratro dell’incapienza. Un’incapienza di posti letto, di medici, di infermieri, di operatori socio-sanitari, di risorse in conto capitale, di formazione che sempre di più rende incompatibili assistenza, sicurezza delle cure e rispetto dei diritti e della dignità degli utenti
L’emergenza nei Pronto soccorso di questi giorni, legata all’epidemia influenzale, riapre la discussione sulla programmazione dei posti letto ospedalieri e sulla pericolosità dei tagli lineari in sanità. I dati relativi alla consistente riduzione dei posti letto in Italia negli ultimi 15 anni sono stati dall’Anaao Assomed più volte in passato portati all’attenzione dell’opinione pubblica.
Con l’applicazione della “Spending review” il taglio rispetto al 2000 ha oramai superato i 70.000 posti letto (da circa 295.000 a 224.000 p.l.) per raggiungere quel target del 3,7 per mille abitanti, tra posti letti per acuti e post-acuti (lungodegenza/riabilitazione), individuato negli oramai famigerati “Standard ospedalieri” emanati dalla Conferenza Stato/Regioni con il DM 70/2015. Come se non bastasse, vi sono regioni che viaggiano con dotazioni di posti letto per acuti al di sotto del 3 per mille abitanti, arrivando in alcune aree regionali anche al 2,3-2,5.
In proposito è utile analizzare cosa succede nel resto dell’Europa, anche se i modelli organizzativi in campo sanitario non sempre sono perfettamente confrontabili. I dati OECD pubblicati nel 2016, ma riferiti al 2014, rilevano una condizione che dovrebbe far riflettere. Se si considerano i posti letto per acuti, l’Italia con il suo 3,3 ‰ è ben al di sotto della media dell’Europa dei 27 (5,2‰). Il confronto con gli altri Paesi europei a noi vicini per condizioni economiche e sociali diventa imbarazzante. La Germania è all’8,2‰, l’Austria al 7,6‰, la Svizzera al 4,7‰, la Francia al 6,2‰. Solo la Spagna e l’Inghilterra hanno una dotazione di posti letto inferiore alla nostra assestandosi la prima al 3‰ e la seconda 2,7‰.
Proprio in Inghilterra da almeno tre anni sono stati avanzati da importanti epidemiologi forti dubbi sulle politiche sanitarie seguite negli ultimi decenni. In un editoriale pubblicato sul BMJ il 20 maggio 2013 viene sostenuto che le evidenze a supporto del pensiero che l’incremento delle cure territoriali possa ridurre i ricoveri dei soggetti anziani e fragili e quindi la necessità di cure ospedaliere, sono scarse. Infatti, le persone anziane, fragili e spesso poli-patologiche sono soggette a frequenti episodi di instabilizzazione che è difficile trattare in un ambito di cure primarie per la complessità del quadro clinico e la necessità di supporti diagnostici e terapeutici adeguati.
L’editoriale conclude affermando che “Nelle ultime decadi vi è stata una importante riduzione dei posti letto per acuti e molti ospedali ora lavorano con un indice di occupazione dei posti letto intorno al 90%. Ulteriori riduzioni nei posti letto nella vana speranza che aumentando i servizi territoriali si riducano i ricoveri potrebbe rivelarsi potenzialmente pericoloso per la cura dei pazienti”. Del resto è consolidato in letteratura il dato che lavorare con indici di occupazione dei posti letto ospedalieri superiori all’85% comporti un incremento della morbilità e mortalità dei pazienti ricoverati sia per il rischio aumentato di infezioni ospedaliere sia per la minore attenzione con cui vengono seguiti dalle équipe i casi complessi in condizioni di stress lavorativo.
In Italia siamo nel pieno di una transizione demografica ed epidemiologica. I soggetti ultra sessantacinquenni passeranno dai circa 12 milioni attuali ai circa 18 milioni del 2050. I pazienti che si osservano oggi negli ospedali sono sempre più anziani, disabili, con diverse comorbilità spesso misconosciute. L’evoluzione demografica ci metterà sempre di più di fronte a questi pazienti clinicamente complessi e soggetti a instabilizzazioni anche per cause banali.
Pensare di riorganizzare ed “efficientare” il sistema sanitario attraverso politiche di tagli lineari su fattori produttivi importanti come i posti letto e le dotazioni organiche dei medici e degli infermieri ospedalieri, da cui dipendono i diritti di accesso alle cure dei cittadini, merita un’attenta valutazione da parte dei nostri decisori politici. Anche le società scientifiche dei medici dell’emergenza/urgenza, individuano nella mancanza di posti letto la causa principale dello stazionamento improprio, indegno ed insicuro dei pazienti in Pronto soccorso.
Non si tratta, pertanto, semplicemente di codici bianchi o celesti che non trovano nel territorio un’adeguata risposta. Probabilmente, oltre ad una strutturazione più funzionale del mitico territorio, su cui già oggi sono riversate più risorse che in ospedale, è necessario rivedere gli standard ospedalieri riportando il tasso di posti letto sopra il 3,7‰ abitanti, incrementando in particolare quelli di area medica considerata la tipologia dei malati che necessitano del ricovero.
Se non si cambia verso, il rischio di ripetere con un decennio di ritardo gli errori del NHS non è trascurabile. Il nostro SSN sta precipitando nel baratro dell’incapienza. Un’incapienza di posti letto, di medici, di infermieri, di operatori socio- sanitari, di risorse in conto capitale, di formazione che sempre di più rende incompatibili assistenza, sicurezza delle cure e rispetto dei diritti e della dignità degli utenti.
Carlo Palermo – Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed
Quotidiano sanità – 10 gennaio 2017