Il Sole 24 Ore. Per affrontare l’emergenza Covid, il decreto Cura Italia apre le porte del Ssn a medici e professionisti sanitari stranieri, ma le amministrazioni di Ospedali e Asl le chiudono. Continuando a bandire decine di concorsi che escludono i camici bianchi extra Ue, con la richiesta del requisito di «cittadinanza italiana o di paesi dell’Unione Europea» mentre per il personale sanitario si lasciano fuori dai bandi i cittadini extracomunitari che non siano soggiornanti di lungo periodo. Tutto questo accade a Bergamo, a Civitavecchia, a Matera, in Umbria, con il caso più eclatante in Piemonte, dove sono stati emanati ben 10 bandi, non rispettosi della deroga, per assunzioni legate all’emergenza riguardanti diversi profili come infermieri, tecnici di laboratorio, tecnici di radiologia e operatori sociosanitari.
Un paradosso, se si pensa che secondo le stime di Anaao Assomed, il principale sindacato dei medici ospedalieri, per i nuovi posti letto di area critica mancano circa 5mila specialisti: la metà anestesisti e altrettanti tra internisti, infettivologi e pneumologi. Ancora più alti i numeri che quantificano la carenza di infermieri. Dai dati dell’Ordine nazionale Fnopi sarebbero almeno 20mila gli infermieri necessari per l’emergenza, dei quali la metà circa da dedicare ai posti letto aggiuntivi di terapia intensiva e l’altra metà per l’assistenza sul territorio.
Intanto nelle regioni più colpite dall’epidemia gli assessori alla sanità chiedono aiuto alle Organizzazioni non governative, come accaduto durante la prima ondata.
Le limitazioni emerse sulle assunzioni di professionisti stranieri risultano dunque inspiegabili, ma soprattutto illegittime. A denunciarlo le associazioni Asgi, Lunaria e il Movimento Italiani senza cittadinanza. Da marzo 2020 grazie all’art. 13 del “Decreto Cura Italia”, possono infatti essere assunti «alle dipendenze della pubblica amministrazione per l’esercizio di professioni sanitarie e per la qualifica di operatore socio-sanitario… tutti i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea, titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare, fermo ogni altro limite di legge».
In deroga quindi all’art. 38 del Testo unico del pubblico impiego che riserva i posti di lavoro agli stranieri con permesso a tempo indeterminato, alle norme che disciplinano le procedure per il riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie conseguite in uno Stato Ue o in Stati terzi, ma anche in deroga – per i medici del Ssn – rispetto al Dpcm 174/94 che riserva i ruoli di dirigenza in ambito pubblico ai soli cittadini italiani.
In Italia sono presenti circa 77.500 stranieri con qualifiche sanitarie, dei quali 22mila medici e 38mila infermieri (stime Amsi). Ma solo il 10% riesce ad accedere a posti di lavoro nell’ambito della sanità pubblica.
«Quello che chiediamo – spiega Alberto Guariso, avvocato esperto di immigrazione e lavoro dell’Asgi – è il rispetto del Cura Italia, una norma saggia che consentirebbe di scegliere i migliori tramite concorso a prescindere dal requisito di cittadinanza». Le tre associazioni hanno scritto alle amministrazioni per sollecitarle al rispetto della normativa ma dalle regioni non è arrivata risposta. «Per ora l’unica ad aver dato un riscontro – conclude Guariso – è la Regione Piemonte che in via informale ha dichiarato di voler correggere i bandi dando applicazione alla nuova norma”. Un segnale positivo, dunque, ma è ancora presto per una vera svolta.
Per questo le associazioni che hanno denunciato il mancato rispetto della deroga chiedono a Ministero della Sanità e della Pubblica Amministrazione «di intervenire immediatamente presso gli enti del Servizio sanitario nazionale affinché, nella fase di emergenza, garantiscano il rispetto dell’art. 13 citato, consentendo l’accesso alle professioni sanitarie a tutti gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare”. E le associazioni per i diritti degli immigrati si spingono oltre. Sollecitando il Parlamento a estendere gli effetti dell’apertura previsti dal Cura Italia, oltre la fase di pandemia, «essendo del tutto illogico – spiegano – che la possibilità del cittadino straniero di concorrere a un posto di lavoro sia limitata al solo periodo di emergenza».