Congegno privo del dispositivo di sganciamento, l’animale soffrì moltissimo prima di essere abbattuto in Slovenia
BELLUNO – Non è finito nel nulla l’esposto degli animalisti della Lav di indagare sulla triste fine dell’orso Dino, vittima di un radiocollare troppo stretto e privo del sistema di sganciamento automatico. La Procura di Trento, competente sul caso visto che il congegno venne applicato dal Dipartimento Foreste e Fauna della Provincia autonoma di Trento, ha chiesto una relazione allo stesso Dipartimento per approfondire la questione e decidere se vi siano gli estremi per formulare un capo di imputazione.
Nel tentativo di liberarsi da quella morsa Dino si era gravemente ferito sbattendo ripetutamente la testa contro alberi e rocce. Un’agonia alla quale, nel marzo scorso, misero fine i proiettili dei forestali della Slovenia dove il plantigrado di origine balcanica si era diretto dopo aver passeggiato lungo tutta la dorsale delle Alpi venete e friulane. E proprio nel suo passaggio attraverso il Parco delle Dolomiti Bellunesi venne individuato e battezzato con il nome dello scrittore giornalista Dino Buzzati. La triste fine dell’orso, diventato una vera star, aveva sollevato l’indignazione degli animalisti che, con un esposto alla magistratura, chiedevano di indagare sull’uso dei radiocollari e sulla loro possibile interferenza negativa sul comportamento animale.
Il procuratore capo, Giuseppe De Benedetto, ha chiesto una relazione dettagliata sul caso per valutare se ed eventualmente come procedere per rendere giustizia al povero plantigrado, al quale la scienza ha chiesto un alto tributo e per il quale la morte è stata solo la liberazione da un dolore che lo aveva fatto impazzire, al punto da far pensare che fosse affetto dalla rabbia.
La morsa del collare gli impediva di respirare e di deglutire. Nel disperato tentativo di liberarsene Dino si era gravemente ferito in più parti del corpo. Una sofferenza durata settimane e terminata in Slovenia, patria degli orsi. Dino è rientrato nella quota dei settanta esemplari che annualmente vengono abbattuti. Un atto dovuto, secondo le autorità slovene, per contenere la popolazione entro determinati numeri idonei a garantire un adeguato carico sul territorio. Di certo, il “caso Dino”, come aveva commentato Romano Masè, responsabile del Dipartimento foreste e fauna del Trentino, «indurrà ad una riflessione» sull’uso dei radiocollari.
La sua morte aveva colpito tutti, anche l’amministrazione provinciale di Belluno che, con una lettera alle autorità slovene, all’indomani dell’uccisione, chiedeva di poter avere le spoglie dell’animale. La richiesta, inoltrata a fine marzo, non ha tuttavia ricevuto risposta, come ha affermato ieri il portavoce di Palazzo Piloni. Appare sempre più difficile pensare ad un possibile recupero delle spoglie di Dino. Il suo corpo era già stato segnato da ampie lesioni, tali da non consentirne un recupero ottimale ai fini di un’esposizione. Probabile che la carcassa non esista nemmeno più. Di Dino resterà solo il ricordo e, chissà, un’esperienza in più nel conciliare i diritti degli animali con il bisogno di sapere dell’uomo.
Gazzettino.it – 30 Luglio 2011