La stampa. Sullo sblocco dei licenziamenti «è difficile tornare indietro, semmai bisognerà fare attenzione a quello che succederà a ottobre ed arrivarci pronti avendo già definito i nuovi ammortizzatori sociali anche per le piccole imprese», sostiene il ministro del Lavoro. Quanto alla fuga delle multinazionale Andrea Orlando vuol proporre al ministro dello Sviluppo di inasprire le sanzioni per chi non rispetta gli accordi. Ma poi servirà avviare un tavolo sull’automotive, perché le crisi di Gianetti e Gkn «sono dei campanelli d’allarme». Intanto con le misure che ha portato ieri in Consiglio dei ministri si da più tempo a Embraco e all’ex Ilva per risolvere i loro problemi.A che servono queste misure?
«Per Embraco si tratta di non abbandonare la speranza di produrre un processo di reindustrilizzazione, che presenta dei problemi, anche perché nel frattempo ha trovato l’ostacolo del Covid. E visto che ci sono ancora degli spazi, d’intesa col ministro Giorgetti si è deciso di consentire al curatore fallimentare di accedere con più facilità e meno oneri alla cassa per cessazione in modo di avere una ulteriore finestra. Però bisogna dire con molta chiarezza, a tutti, che in questo caso specifico si tratta davvero dell’ultimo giro. Dopo è difficile immaginare altri strumenti di intervento e quindi questi mesi sono cruciali, e viste anche le polemiche sollevate dalla Regione, credo che questo tempo vada impiegato da tutti nel far partire davvero un processo di reindustrializzazione.
E l’ex Ilva?
«Qui scontiamo l’incertezza nel realizzare il piano ambientale e il contenzioso che era aperto sino a poco tempo fa, cosa che non consente ancora di cogliere le opportunità che il mercato offre. In questa situazione, per i presupposti di legge, non era possibile utilizzare la cassa ordinaria e quindi si è deciso di estendere all’ex Ilva le 13 settimane già previste dal precedente decreto modificando i requisiti. Anche questo però deve essere un tempo nel corso del quale il soggetto pubblico deve completare il percorso di riassetto della governance, mentre l’amministratore delegato deve ritarare la richiesta degli ammortizzatori sociali, in relazione alla realizzazione del piano industriale, richiesta che a nostro avviso è certamente incongrua. Mentre il tavolo di confronto deve aiutare a trovare delle soluzioni e per questo ho ritenuto utile proporre che ci fosse anche il ministro della Transizione ecologica, perché penso che sia un interlocutore fondamentale per gestire i prossimi passaggi».
Gianetti, Gkn, Whirlpool: cosa si può fare per frenare la fuga delle multinazionali?
«Le soluzioni, rispetto a soggetti che hanno una dimensione sovranazionale, vanno cercate sia a livello nazionale sia livello europeo. Non basta la dimensione nazionale. Da un lato è importante limitare con un salario minimo europeo il dumping salariale, che alcuni paesi dell’Unione europea applicano, e dall’altro bisogna utilizzare questa ondata di finanziamenti che avremo col Recovery plan per responsabilizzare di più le imprese e legarle con più forza al paese nel quale operano e dal quale ricevono sussidi, e tutti gli strumenti che vanno in questa direzione vanno utilizzati. Per questo proporrò al ministro Giorgetti di confrontarci per rafforzare questo tipo di misure che già esistono ma che oggi, evidentemente, non sono sufficienti ed incisive. Però c’è un altro tema da mettere a fuoco…»
Quale?
«Sia Giannetti che Gkn operano nell’automotive e non credo che sia un caso. Vanno presi come due campanelli d’allarme e per questo bisogna attivare subito un tavolo di confronto su questa filiera perché è evidente che la transizione ecologica non lascerà tutto invariato. Produrrà una serie di effetti che vanno affrontati per tempo e non soltanto col meccanismo ex post degli ammortizzatori sociali. Abbiamo bisogno di prevedere i prossimi mesi e i prossimi anni e di costruire politiche industriali in grado di contenere i danni e accompagnare le trasformazioni».
Subito riforma degli ammortizzatori e nuove politiche attive del lavoro…
«Sì. Noi ci stiamo lavorando. Però poi occorrono anche robuste politiche industriali, perché ci sono passaggi nei quali il saldo occupazionale non sarà positivo e allora non basterà ricorrere alle politiche attive per ricollocare i lavoratori, perché in alcune realtà se non riusciamo a massimizzare quanto più possibile gli investimenti del Recovery questa possibilità rischia di non esserci. Quanto riusciamo a trattenere facendo crescere le filiere del nostro paese?
Ma sui licenziamenti, oltre alle modalità improprie adottate dalle aziende, adesso bisogna modificare la norma?
«Quando richiamiamo le aziende al rispetto delle procedure lo facciamo non a caso ma perché in questo modo si presuppone il rispetto di un percorso che prevede il confronto. Quindi non basta che le imprese comunichino la loro decisione a un tavolo: la legge vuole che ci sia una interlocuzione. Non è solo un problema di mail, ma bisogna ascoltare le parti sociali e valutare se ci sono soluzioni che consentono di evitare il disimpegno dall’investimento, questo prevede la legge. Quando leggo che Gkn dice “questa è la nostra scelta, voi fate come vi pare” non riscontro solo una violazione delle regole della buona educazione, ma anche una legge che viene disattesa in modo inaccettabile».
Ma di questi licenziamenti che pensa? Come li giudica?
«Credo che ci troviamo in una fase in cui emergono situazione di crisi che la cassa Covid finora aveva tenuto coperte, ma che non necessariamente sono legate agli effetti del Covid. La mia proposta di rendere più graduale il superamento del blocco era proprio per evitare che queste crisi si concentrassero in un periodo limitato di tempo. Dopodiché se dobbiamo guardare i numeri macro vediamo che l’andamento generale al momento non è molto dissimile da quello che ha preceduto la pandemia. Non c’è un effetto sblocco dei licenziamenti che si produce sui grandi numeri, ma ogni singola vertenza ha la sua importanza e drammaticità. Io però credo che queste situazioni non possono essere affrontate con strumenti di carattere generale ma con strumenti mirati e specifici, che consentano di agevolare i processi di reindustrializzazione e di rafforzare le sanzioni per chi ha ottenuto finanziamenti e poi si disimpegna da attività magari ancora efficienti».
Tornare indietro no?
«A questo punto ripristinare il blocco ex post sarebbe complicato e non avrebbe effetti. La nostra grande attenzione a questo punto va posta alla prossima scadenza di ottobre. Per questo occorre far seguire alla fine del blocco la riforma degli ammortizzatori sociali perché in questo caso avrà una forte valenza visto che estenderemo le copertura anche alle piccole imprese con un sistema di paracaduti più efficiente di quello che oggi esiste. Però anche qui, e forse è meno scontato pensarlo, dobbiamo attuare politiche industriali, a partire dal commercio visto che il passaggio alle piattaforme digitali di una quota dei consumi è destinato ad essere un elemento strutturale. In parte queste imprese vanno aiutate nei processi di digitalizzazione ed in parte andranno riconvertite, in parte usciranno dal mercato e molte città rischiano di spegnersi».
Lei continua a sostenere che il Reddito di cittadinanza va rivisto. Ancora ieri però Di Maio ha alzato le barricate.
«Coi 5 Stelle mi confronto spesso e nessuno di loro dice che immodificabile. E’ certamente uno strumento importante di contrasto della povertà, ed io concordo con loro, però alcuni aspetti vanno rivisti. Di certo l’Rdc non funziona come strumento di politiche attive del lavoro. Dobbiamo efficientarlo quanto più possibile, realizzare controlli più rigidi e attivare percorsi di inclusione, perché non c’è solo il problema di mandare la gente a lavorare ma c’è anche quello di assicurare loro adeguati livelli di istruzione. Rinunciare però ad uno strumento che ha impedito un aumento esponenziale della povertà assoluta, e sono d’accordo con Di Maio, sarebbe sbagliato e pericoloso».—
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