È altamente probabile che il contagio sia partito da un animale, ma non sappiamo da quale, né quando ciò sia accaduto. Ma è altamente improbabile che sia partito dal laboratorio di Wuhan. Quindi non siamo sicuri di niente, tranne che la Cina non c’entra. Queste, in estrema sintesi, le conclusioni dell’indagine-lampo (è un po’ farsa) degli ispettori dell’Oms a Wuhan, dopo due settimane di “indagini” sotto stretta vigilanza e controllo cinesi; con un programma e una lista dei partecipanti a suo tempo sottoposti alla preventiva approvazione di Pechino; senza nessuna libertà di movimento e nel più assoluto silenzio stampa… Non c’è da stupirsi se, oggi, il giorno dopo la diffusione del comunicato dell’Oms, l’America di Biden abbia reagito male: persino peggio di come, probabilmente, avrebbe reagito quella di Trump.
“Gli Stati Uniti non accetteranno i risultati dell’indagine dell’Oms a Wuhan senza un’autentica verifica indipendente attraverso nostre indagini e conferendo con gli alleati” ha dichiarato oggi, senza mezzi termini, Ned Price, portavoce del Dipartimento di Stato americano. “Dettagliare come è iniziata e si è diffusa la pandemia è essenziale, data la posta in gioco e il devastante impatto globale della malattia”, ha continuato Price il quale, nel corso del briefing quotidiano per i giornalisti, ha anche affermato che “chiaramente, i cinesi, almeno finora, non hanno offerto la necessaria trasparenza di cui abbiamo bisogno e di cui l’intera comunità internazionale ha bisogno, perché si possa impedire che questo tipo di pandemie si ripetano […] Lavoreremo con i nostri partner e attingeremo anche alle informazioni raccolte e analizzate dalla nostra stessa comunità di intelligence … piuttosto che affrettarci a trarre conclusioni che potrebbero essere motivate da qualcosa di diverso dalla scienza”, ha concluso il portavoce del governo americano.
Le rimostranze americane erano ampiamente prevedibili, tenuto conto dei tanti fattori che contribuivano a rendere l’operato degli ispettori Oms poco attendibile fin dal principio. In primis il fatto che l’inchiesta fosse partita a più di un anno di distanza dai fatti, ovvero dalla scoperta – almeno stando a quanto affermato dalla Cina a suo tempo – dei primi casi nell’ormai famigerato wet market “Huanan” a Wuhan. Un anno nel quale Pechino ha avuto tutto il tempo per far sparire le prove (i campioni prelevati sugli animali, per esempio) e silenziare qualsiasi voce indipendente, censurando gli scienziati, arrestando o facendo sparire giornalisti e blogger, e imponendo la più ferrea censura di Stato a qualsiasi esternazione sulla pandemia che non fosse stata preventivamente attentamente vagliata, ed eventualmente approvata, dal PCC, il Partito Comunista al potere.
Ieri i membri della missione dell’Oms – composta da scienziati cinesi e stranieri – hanno diffuso le conclusioni dell’indagine, che soltanto in teoria è durata quattro settimane, in quanto tutti i ricercatori hanno dovuto trascorrere i primi quindici giorni dopo l’arrivo in Cina chiusi nelle loro camere d’albergo, in quarantena.
Peter Ben Embarek, il coordinatore del gruppo, nel corso di una conferenza stampa durata oltre tre ore, più che una serie di scoperte ha esposto una lunga teoria di ipotesi e dubbi, che non forniscono elementi decisivi per comprendere l’origine del coronavirus, e tantomeno ci dicono quando lo stesso virus si sia originato.
Circa l’origine zoonotica del virus, secondo gli esperti dell’Oms i principali sospettati per il passaggio all’essere umano sarebbero pipistrelli e pangolini. Ma l’epidemiologo cinese Liang Wannian ha negato ogni certezza al riguardo, affermando che “comunque i virus riscontrati in questi animali non sono una prova sufficiente per dimostrare un collegamento con il Sars-Cov-2”.
Per quanto riguarda poi la data d’inizio della diffusione, anche qui la commissione dell’Oms esprime più dubbi che certezze. Se infatti la circolazione del coronavirus a Wuhan nel dicembre 2019 è una delle poche cose data per assodata dalle indagini, gli esperti hanno ammesso che non ci sono prove di una circolazione precedente, né in Cina né in altri Paesi.
Resta dunque senza risposta anche questo delicato argomento – quello che riguarda la possibilità che il virus possa essersi diffuso altrove, anche molto lontano da Wuhan, contemporaneamente o addirittura prima del focolaio al mercato Huanan – sul quale Pechino aveva investito molto in termini di propaganda, sia interna che internazionale, per cercare di addossare a qualche altra nazione – Italia compresa – il marchio di “untore globale”. Ma secondo la virologa Marion Koopmans, non ci sono “prove evidenti” di una diffusione del virus altrove prima del focolaio di Wuhan, compresa l’Italia, citata espressamente dalla scienziata olandese nelle sue dichiarazioni.
Nonostante dalle ricerche non siano emersi elementi di alcun tipo, non viene scartata nemmeno l’ipotesi di un ruolo dei prodotti surgelati come veicolo di trasmissione originale del virus (forse perché la Cina aveva puntato molto anche su questa teoria, direbbero le malelingue) anche se, ha precisato ancora Embarek, “molto lavoro deve essere fatto per capire meglio l’eventuale ruolo della catena del freddo nella diffusione del coronavirus”.
Rimane infine largamente ignoto agli esperti dell’Oms anche il ruolo del mercato Huanan, a Wuhan, dove venivano vendute specie selvatiche, considerato fino ad oggi il primo focolaio noto di Covid-19. “Non conosciamo il ruolo esatto del mercato”, ha dichiarato ancora Embarek. “Sappiamo che c’è stata sicuramente una diffusione dell’infezione tra alcune persone che lo hanno visitato, ma come il virus si sia introdotto e come si sia diffuso è ancora sconosciuto”.
L’unica “quasi-certezza” raggiunta a quanto pare dal team di esperti dell’Oms, è quella che scagiona la Cina dai sospetti più gravi, ovvero l’ipotesi di una fuga accidentale del virus dall’ormai famigerato laboratorio di massima sicurezza di Wuhan. Un’ipotesi “altamente improbabile”, si è limitato a definirla Embarek, mostrando di considerare chiuso il discorso su questo argomento.
Dopo la recente decisione di rientrare nell’Oms, sconfessando così la scelta di Trump che aveva deciso di uscirne, la nuova amministrazione Biden ha riconosciuto che l’affermazione dell’ex presidente, secondo la quale la Cina avrebbe esercitato un’influenza indebita sull’agenzia delle Nazioni Unite, era corretta, mentre ha respinto con decisione le affermazioni di Pechino, secondo le quali la malattia potrebbe essere iniziata altrove. “Stiamo parlando dell’origine del coronavirus”, ha detto Price. “Non credo che ci sia una persona ragionevole che sosterrebbe che il contagio ha avuto origine altrove”.
Pechino non ha mai nascosto quanto fosse sensibile alla visita dell’OMS, preoccupata che gli scienziati potessero trovare qualche elemento a favore delle responsabilità cinesi, soprattutto per quanto riguarda le accuse internazionali di avere sottovalutato la pericolosità dell’infezione e avere tardato colpevolmente nella risposta all’epidemia; oltre che nell’informare il Mondo di quanto stava accadendo. Dopo che l’Australia aveva chiesto l’apertura di una seria inchiesta internazionale indipendente, la Cina aveva reagito in modo estremamente aggressivo nei confronti del governo di Canberra, con forti limitazioni sul commercio tra i due Paesi e con durissimi attacchi dalle colonne del tabloid statale Global Times.
La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ieri aveva affermato che è “imperativo” che gli Stati Uniti abbiano un proprio team di esperti in Cina “per assicurarsi di avere occhi e orecchie sul campo”.
Ma è altamente improbabile che la Cina lo consenta. Tanto più che il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin ha invitato Washington a mantenere “un atteggiamento aperto, trasparente e scientifico” invitando gli esperti dell’Oms a “condurre studi sulle origini” del nuovo coronavirus negli Usa.