L’Italia ha tempo fino al 29 giugno per tentare di disinnescare la mina sull’orario di lavoro e i tempi di riposo dei medici del servizio sanitario nazionale. Il 26 aprile la Ue ha inviato a Roma una lettera di messa in mora (n. 2011/4185) «relativa all’esclusione del personale medico da alcuni diritti previsti dalla direttiva 2003/88/CE» e cioè la norma quadro europea conosciuta come direttiva sulle 48 ore di lavoro settimanali. Si tratta della disciplina che ha fissato le tutele nei confronti di tutti i lavoratori dei Ventisette e quindi anche dei medici che lavorano nel pubblico. In particolare la vicenda italiana si incardina su due articoli del decreto legislativo 66/2003: l’articolo 4 e l’articolo 7 avevano infatti recepito le indicazioni europee in materia di limite massimo settimanale di 48 ore (straordinari compresi) e di riposo giornaliero (11 ore su 24).
Peccato però che in seguito si sia deciso di tagliare fuori il personale delle aree dirigenziali degli enti e delle Asl. Un’esclusione temperata dal rinvio della regolamentazione al contratto di lavoro. La deroga per i medici fu inizialmente stabilita dalla Finanziaria 2008 che però teneva fuori la categoria solo dalla regolamentazione dei riposi.
A distanza di qualche mese è stata la volta della legge 133/2008 che ha allargato l’esclusione dei medici anche dalla “platea” dell’articolo 4, quello cioè che fissa il tetto massimo delle ore lavorate. La norma italiana prevede infatti che «al personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del servizio sanitario nazionale, in ragione della qualifica posseduta e delle necessità di conformare l’impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità propria dell’incarico dirigenziale affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 4 e 7 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n.66».
E anche in questo caso, come nella Finanziaria 2008, si fa un preciso rimando al contratto di lavoro che «definisce le modalità atte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata e il pieno recupero delle energie psicofisiche».
«Con il risultato finale che la tutela dei medici ospedalieri è finita in capo alle Regioni: e quindi oggi ci ritroviamo casi come quello della Toscana in cui le tutele sono più che soddisfacenti e altre realtà invece dove la materia non è stata regolata secondo il dettato della Ue», spiega Carlo Palermo, coordinatore dei segretari regionali Anaao, l’associazione che attraverso la federazione europea dei medici salariati (Fems) ha denunciato la vicenda a Bruxelles. Un pasticcio al quale l’Italia però dovrà adesso rispondere in sede comunitaria. E che difficilmente potrà vertere sulle deroghe previste in sede comunitaria sulle 48 ore dal momento che l’articolo 17 della direttiva prevede speciali “salvacondotti” solo per quei dirigenti che godano di autonomia organizzativa. Non per i medici, inquadrati come dirigenti sanitari, ma a tutti gli effetti lavoratori dipendenti.
«Dopo anni in cui abbiamo sollevato il problema in sede comunitaria – dice Enrico Reginato, vicepresidente della Fems – finalmente abbiamo ottenuto una prima risposta».
Il Sole 24 Ore Sanita – 18 giugno 2012