La Corte costituzionale ha bocciato il fai-da-te della Regione Basilicata su orario di lavoro e assunzioni a tempo determinato. Per una “doppia” violazione dell’articolo 117 della Costituzione (secondo e terzo comma), non aver rispettato le leggi nazionali e, soprattutto, aver rischiato “in proprio” una ulteriore procedura di infrazione Ue dopo quella appena sventata dallo Stato italiano proprio sugli orari di lavoro.
Con le leggi regionali 53/2015 e 17/2016 la Regione aveva quantificato su base annuale i periodi di 48 ore di lavoro in base ai quali, secondo la normativa europea, spettano le undici ore di riposo, mentre è previsto che il periodo di riferimento non può superare i quattro mesi, demandando ai soli contratti collettivi di lavoro la possibilità di portare a sei mesi detto periodo o, anche fino a dodici mesi, ma esclusivamente a fronte di specifiche ragioni obiettive, tecniche o organizzative individuate dai medesimi contratti.
E aveva acquisito personale sanitario a tempo determinato, anche nella forma di lavoro in somministrazione, fino a una spesa massima complessiva pari al costo sostenuto nel 2015 per il periodo di assenza del personale dipendente in caso di maternità, malattia, aspettative, fruizione di altri benefici, distacchi, comandi e permessi previsti dalla normativa, un costo che non viene computato agli effetti del rispetto di tutti i vincoli di spesa complessiva del personale stabiliti dalla normativa nazionale e regionale.
Nella sua memoria l’avvocatura generale dello Stato – ricorrente – ha ribadito che le nuove norme sull’orario di lavoro introdotte con la legge n. 161 del 2014, applicabili al personale delle aeree dirigenziali e del ruolo del Servizio sanitario nazionale, hanno consentito alla Commissione Europea di rinunciare alla procedura di infrazione comunitaria, attivata il 1° aprile 2014, per assunta violazione ad alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro del personale del Servizio sanitario nazionale, e che, per effetto della rinuncia la causa europea (C-124/14) è stata cancellata dal ruolo della Corte di Giustizia.
La stessa Corte di giustizia ha più volte ribadito che le disposizioni, contenute nelle direttive sulla determinazione dell’orario di lavoro del personale del Servizio sanitario hanno natura “di norme inderogabili e sono immediatamente applicabili negli Stati dell’Unione anche nei confronti dei singoli”.
L’ultima sentenza in questo senso è del dicembre 2915 (causa C-180/14 – Commissione c. Grecia) e la Corte di Giustizia ha stabilito che la normativa greca era in contrasto con il diritto dell’Unione nella parte in cui, consentendo ai medici di lavorare consecutivamente 24 ore o più, non ha applicato la durata massima di 48 ore dell’orario di lavoro settimanale e non ha previsto un tempo minimo di riposo giornaliero né un periodo di riposo compensativo.
E la Commissione europea, sottolinea l’Avvocatura dello Stato, ha avviato una nuova procedura di infrazione proprio in relazione all’emanazione, da parte della Regione Basilicata, della legge regionale 53/2015, specificamente avviata per ottenere informazioni in merito alla compatibilità della normativa regionale con la direttiva 2003/88/CE e che «la Commissione, a seguito di colloqui intervenuti con lo Stato italiano – che ha confermato la pendenza dei due ricorsi proposti avanti a codesta Ecc.ma Corte (note ministero della Salute 14.06.2016 n. 3971 e 28.06.2016, n. 4226) – ha sospeso la procedura in attesa dell’esito del giudizio di legittimità costituzionale pendente».
In sostanza il ricorrente ritiene che le disposizioni della Basilicata violino l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in quanto disattendono previsioni dettate dalla normativa comunitaria, e l’art. 117, terzo comma, lettera l), Costituzione, in quanto la materia dell’ordinamento civile è riservata allo Stato. E inoltre la legge della Basilicata autorizza le aziende sanitarie della Regione, fino al 31 luglio 2016, ad acquisire personale sanitario a tempo determinato, anche attraverso agenzie di somministrazione, fino a una spesa massima complessiva pari al costo sostenuto nell’anno 2015 per il periodo di assenza di personale dipendente che prevedono la conservazione del posto di lavoro (maternità, malattia, aspettativa, distacchi, comandi, permessi e fruizione di altri benefici), stabilendo che tale costo non è computabile agli effetti del rispetto di tutti i vincoli di spesa complessiva del personale stabiliti dalla normativa nazionale regionale.
Una norma che disattende le norme statali di coordinamento della finanza pubblica, viola l’art. 117, terzo comma, Costituzione e, nel non prevedere la copertura economica delle spese, violi l’art. 81 Costituzione.
Secondo la Consulta “entrambe le questioni risultano fondate, nei termini di seguito indicati”.
1. La Corte rileva che le disposizioni regionali censurate in materia di orario di lavoro del personale sanitario incidono su aspetti disciplinati dalla normativa statale, applicabile anche all’orario di lavoro del personale delle aree dirigenziali e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, concernenti alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e sul recepimento della direttiva Ue sugli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. Risulta, dunque, evidente, sottolinea la Corte costituzionale, che le previsioni regionali censurate ledono la riserva che il legislatore nazionale ha assegnato in via esclusiva all’autonomia collettiva di poter derogare, entro precisi limiti e a determinate condizioni, alle disposizioni in materia di durata massima settimanale del lavoro e di riposo giornaliero, poste dal legislatore nazionale stesso in via generale. A fronte di ciò la normativa regionale censurata deve ritenersi anzitutto lesiva della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Costituzione.
2. Per quanto riguarda il personale a tempo determinato, la disposizione regionale è in contrasto con i limiti di assunzione di personale a tempo determinato, nelle varie tipologie contrattuali, posti per le pubbliche amministrazioni, ledendo i principi di coordinamento della finanza pubblica, che queste configurano. La norma regionale risulta in contrasto con le disposizioni nazionali e, in particolare, con la previsione che, ai fini del giudizio, assume peculiare rilievo quale norma interposta. La norma censurata autorizza le aziende sanitarie regionali fino al 31 luglio 2016 ad acquisire personale sanitario a tempo determinato, anche in forma di lavoro in somministrazione, per una spesa massima complessiva pari al costo sostenuto nel 2015 per il periodo di assenza del personale dipendente nei diversi casi in cui sia previsto il diritto alla conservazione del posto di lavoro. La relazione illustrativa e tecnico-finanziaria della legge regionale in esame chiarisce che tale costo è quello sostenuto “per sopperire al deficit di prestazioni orarie dovute a maternità, malattia, aspettative, fruizione di altri benefici, distacchi, comandi e permessi previsti dalla normativa. La norma regionale si riferisce, dunque, a determinate assunzioni a termine per specifiche finalità, ma l’art. 9, comma 28, del Dl. 78 del 2010, invece, stabilisce la possibilità, da qualsiasi finalità motivata, per le pubbliche amministrazioni di avvalersi di personale a tempo determinato – o con convenzioni, ovvero contratti di collaborazione coordinata e continuativa – nel limite massimo del 50% delle spese sostenute nell’anno 2009 per le stesse finalità, vale a dire per le medesime tipologie di utilizzo di risorse umane.
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13 aprile 2017