Eugenia Tognotti, la Stampa. Facendosi strada dalle pieghe della storia di un Paese come l’Italia dominato, fino ad un secolo fa, dalle malattie della miseria e della penuria, ritorna, sotto forme diverse, la «povertà di salute», per usare l’espressione a cui ha fatto ricorso di recente papa Francesco in un’udienza ai membri dell’Associazione religiosa istituti socio-sanitari. Nel suo discorso si è affacciato il corteo dei «sacrificati» in questi anni dai tagli alla Sanità in continua, preoccupante crescita e possibile causa di aumento di mortalità evitabile per la mancata tempestività delle cure.
Sono i tanti che per mancanza di mezzi non riescono ad accedervi; che hanno un problema a pagare il ticket; che, bloccati dalle liste d’attesa, non riescono a raggiungere i servizi sanitari. Uno scenario di diseguaglianze, rinuncia per motivi economici anche a visite urgenti e necessarie, riduzione della speranza di vita in buona salute, che prepara, in particolare a vecchi e fragili – privi della possibilità di rivolgersi al privato – un futuro di cattiva salute, dipendenza, decadimento fisico: «Un’eutanasia nascosta e progressiva», l’ha definita suggestivamente il pontefice.
Danno corpo a questa realtà i numeri contenuti nella recentissima relazione annuale pubblicata dalla Corte dei Conti sullo stato delle Regioni italiane (2019-22). Senza entrare nella giungla dei numeri, si possono richiamare al volo alcuni dati. Nell’area della prevenzione spicca, ad esempio, il basso tasso di adesione agli screening per le principali patologie tumorali in gran parte delle regioni del Mezzogiorno.
La «rinuncia a prestazioni sanitarie» – come rilevano i magistrati contabili – può avere diverse motivazioni, economiche, logistiche e legate alla lunghezza delle liste d’attesa, di diretta responsabilità del servizio sanitario. Ebbene, è quasi raddoppiata a causa della pandemia, passando dal 6,3% del 2019 all’11,1% del 2021, con un lieve miglioramento nel 2022. Molto critico in tutto il Paese appare l’indicatore «anziani trattati in assistenza domiciliare integrata» sul totale della popolazione di oltre 65 anni. I dislivelli nel livello di salute passano anche per realtà regionali.
La Campania, per dire, ha la più bassa speranza di vita in Italia e il più alto tasso di mortalità evitabile, 21,2 per cento (Veneto 14,1). Se la speranza di vita alla nascita è abbastanza omogenea in tutta Italia, per la quota degli anni in buona salute si fa sentire il divario tra Nord e Sud, che annulla la «parità» in partenza: nelle regioni del Nord si superano i 60 anni, in Calabria si scende a 53,1. Il problema di eccesso di peso e obesità – che riguarda la prevenzione di danni alla salute – coinvolge il 51 per cento della popolazione, dieci punti in più rispetto a quanto avviene invece nelle regioni settentrionali.
Affrontare l’ampia gamma di determinanti sociali ed economici della cattiva salute, così come investire in servizi sanitari preventivi, come lo screening per le malattie cardiovascolari e il cancro, sarebbe essenziale. Ma un cambio di passo non è alle viste, stando alla revisione degli obiettivi del Pnrr e alle prime indiscrezioni trapelate dall’incontro tra il ministro dell’Economia e quello della Salute in vista della legge di Bilancio, che non sembrano annunciare un cambio di passo, se rimarranno in piedi queste cifre: tra i 2,5 e i 3 miliardi in più per il Fondo sanitario 2024.
Se fino a qualche tempo fa si parlava di un sistema sanitario nazionale giunto a un punto di rottura e si discuteva della sua sopravvivenza, così come l’abbiamo conosciuto, cioè pubblico ed universalistico, oggi la malattia cronica del definanziamento, in atto da anni, sta provocando una crisi «storica» che richiederebbe investimenti sostenibili a lungo termine da parte del governo, incentivi forti alla forza lavoro, capaci di restituire appeal al Ssn pubblico e migliorare lo smaltimento delle liste d’attesa, una delle tante, purulenti piaghe della sanità italiana. E ancora l’innovazione e l’impegno da parte del mondo della sanità e del governo, con i leader in prima linea.
Possiamo aspettarci un impegno forte in questa direzione della presidente del Consiglio dei ministri? Difficile dimenticare le sue dichiarazioni programmatiche dell’ottobre scorso. La parola «sanità» incredibilmente non si era neppure affacciata nella lunga esposizione che aveva toccato, come se la qualità della vita, il produrre salute e curare bene le malattie non avessero niente a che fare con la politica e con le grandi sfide degli anni a venire: dai cambiamenti climatici ai disastri ambientali, dall’antibiotico-resistenza alle minacce pandemiche, dall’invecchiamento della popolazione ai cambiamenti demografici.