Dopo i neolaureati in Medicina assunti con contratti libero-professionali e, pur senza specializzazione, messi a curare i codici bianchi al Pronto Soccorso e a prestare servizio al Suem 118, negli ospedali del Veneto tornano i pensionati e arrivano i camici bianchi «in affitto» o «trasfertisti». E’ l’estrema ratio alla quale sono dovuti ricorrere i direttori generali delle aziende sanitarie per far fronte all’ormai cronica carenza di specialisti, in particolare al Pronto Soccorso e nei reparti di Ginecologia e Ostetricia, Anestesia e Rianimazione, Pediatria e Ortopedia.
Anche «i medici in affitto», come i neolaureati e i pensionati, vengono ingaggiati attraverso le cooperative, che in tutta Italia ne reclutano centinaia disposti a spostarsi continuamente. Vanno dove c’è bisogno. Per esempio c’è una radiologa romana che una settimana al mese lavora fra Treviso, Venezia e Rovigo e poi torna a ricevere privatamente nella sua città e c’è il pediatra siciliano in prima linea con «Medici senza Frontiere» per gran parte dell’anno, ma «a disposizione» degli ospedali del Nord quando non è in missione. Arrotonda così. Il fenomeno è in continua espansione in Veneto, Emilia, Lombardia e Lazio. «Ed è noto da tempo — conferma Antonio Compostella, dg dell’Usl 5 Polesana — in attesa di soluzioni istituzionali (l’aumento delle borse di studio per gli specializzandi, ndr) , il problema della mancanza di medici si può risolvere solo in tre modi. Acquistando prestazioni in più dagli interni, che però sono già oberati di lavoro e quindi difficilmente accettano; sottoscrivendo contratti con liberi professionisti, anche pensionati che possono tornare a lavorare in questa nuova veste ma in ospedali diversi da quello in cui operavano come dipendenti del Servizio pubblico; oppure affidandosi a cooperative che forniscono neolaureati o specialisti a gettone. Questi ultimi comprendono i trasfertisti, che rifiutano l’assunzione — aggiunge Compostella — preferiscono coprire 72 ore qui e 72 là. Così non hanno il vincolo dell’orario europeo (38 ore a settimana, però regolarmente sforate e senza il pagamento degli straordinari, ndr ) e si portano a casa un bel gruzzolo». Dai 4mila ai 6mila lordi euro al mese.
Le Usl chiedono alle cooperative di fornire i medici «in affitto» che pagano, a turni di dodici ore, tra 600 e 720 euro lordi, parte dei quali vanno alla coop. «Darei non so cosa per avere personale fisso, garanzia di continuità assistenziale — assicura il dg dell’Usl polesana — ma ormai questa modalità di reclutamento medici sta diventando una necessità. Soprattutto per gli ospedali periferici, meno attrattivi. Alcuni dei dottori citati sono fior di professionisti, spesso in pensione, noi ne abbiamo diversi; altri sono giovani free lance per il momento non interessati al contratto a tempo indeterminato perché desiderosi di arricchire il curriculum con esperienze diverse». «Cosa dobbiamo fare se ai concorsi non si presenta nessuno? — allarga le braccia Francesco Benazzi, direttore generale dell’Usl 2 Marca Trevigiana — Noi ricorriamo ai camici bianchi in affitto per il Pronto soccorso, che dobbiamo garantire sempre a regime, altrimenti si configura l’interruzione di pubblico servizio. Ma da tre anni siamo in carenza di specialisti».
Storce il naso Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Venezia e segretario regionale della Cimo, sigla degli ospedalieri: «Ricorrere ai colleghi trasfertisti non è un bel segnale, soprattutto perché le difficoltà odierne erano ampiamente prevedibili anni fa, ma sono state ignorate dai responsabili della programmazione sanitaria. I ministeri di Salute e Istruzione continuano a erogare un numero di borse di studio per gli specializzandi inferiore al fabbisogno: per il 2018 sono aumentate da 6675 a 6934, ma a fronte di 10mila laureati. Più di tremila restano a spasso. Invece di ricorrere a camici bianchi a gettone, che non possono garantire la qualità assistenziale — incalza Leoni — noi proponiamo di utilizzare gli specializzandi dal terzo anno in poi, stipulando convenzioni con l’Università di Padova». Stessa idea avanzata dai colleghi dell’Anaao, ma ancora inascoltata.
Corveneto