Bene il made in Italy agroalimentare nel mondo. Bene l’Expo che porta dappertutto il meglio del Belpaese. Ma nella celebrazione costante e forse esagerata delle eccellenze agroalimentari italiane c’è un po’ di nostalgia per i tempi nei quali l’Italia eccelleva nel pianeta e tra i grandi per le scoperte della tecnologia informatica degli albori come quelle dela grande Olivetti oppure per la chimica industriale della Montedison.
Sì, giusto puntare sulla qualità del vivere italiano espressa attraverso vino, formaggi e salumi di pregio ma se un Paese imposta la sua politica di sviluppo solo sul settore primario, drenando risorse finanziarie, rischia di non averne poi per i settori ad alta tecnologia che sono quelli che creano più valore aggiunto, maggiore ricchezza e impiegano le risorse lavorative formate nelle facoltà scientifiche delle università italiane che restano ancora tra le migliori al mondo. Anche il sistema bancario che ha impegnato molte delle sue risorse per il food di qualità si sta rendendo conto che l’Italia non può essere solo un Paese di cibo eccellente e sta limitando in alcuni casi i grossi plafond che negli anni scorsi sono stati destinati all’agricoltura. Un boom benefico ma che rischia di trasformarsi un sovradimensionamento, anticamera di bolle speculative. Una dei risvolti di questo interesse del settore è il numero sempre più alto di gruppi che mostrano l’intendono presentarsi a Piazza Affari. L’ultimo caso è stata la quotazione della Massimo Zanetti Beverage Group, azienda leader nella produzione, lavorazione e commercializzazione di caffè tostato e di altre tipologie selezionate di prodotti coloniali e nota al grande pubblico per la miscela Segafredo. Il grande protagonista dell’arrivo in Borsa è però il vino. A inizio 2015 a Milano è infatti cominciata l’avventura di Italian Wine Brands sul mercato Aim Italia. La newco aggrega la piemontese Giordano vini e la trentina Provinco Italia, per un fatturato di 140 milioni di euro e oltre 40 milioni di bottiglie, destinate per il 70% all’estero. Il modello di business della prima azienda italiana quotata del settore vitivinicolo si basa sull’assenza di vigneti di proprietà per puntare tutto su moderni impianti di vinificazione e imbottigliamento e su un marketing basato su reti di vendita internazionali nel canale gdo e modalità dirette attraverso web e call center. Fin qui quanto già successo. Ma l’esperienza di Iwb potrebbe essere replicata dal vino Amarone Masi. Il gruppo piemontese Masi Agricola conta infatti di entrare entro l’estate a Piazza Affari con il 20% del capitale e allargare i confini sfruttando gli investimenti aggiuntivi. Non solo. Anche il «Gambero Rosso» che ha puntato la sua attività editoriale sul food sta valutando la quotazione del 25% delle quote della Gambero Rosso Holding Spa sul listino milanese. Infine un’icona del made in Italy a tavola non poteva non meditare la quotazione a Piazza Affari. «è giusto che Eataly vada in Borsa, la data precisa ancora non è stata individuata, ma non si dovrà aspettare molto: nel 2016-2017» ha detto Oscar Farinetti, fondatore di Eataly.«Ci metteremo dentro il 33% – ha aggiunto -, il resto resterà alla mia famiglia, che detiene il 60% della holding»
Filippo Caleri – Il Tempo – 9 giugno 2015