Michela Nicolussi Moro. E pensare che oggi poteva essere «uno dei martedì di novembre» che Regione e medici di famiglia avevano concordato per un nuovo incontro, magari decisivo per fare pace e «arrivare a sottoscrivere un accordo complessivo in tempi brevi», come aveva auspicato l’assessore alla Sanità, Luca Coletto, nel vertice del 31 ottobre scorso a Venezia. Otto giorni prima della 48 ore di ambulatori chiusi che ha rappresentato il clou degli 81 giorni di sciopero indetti da Fimmg, Snami, Smi e Intesa sindacale a causa del «mancato potenziamento dell’assistenza territoriale previsto dal Piano sociosanitario». E invece, dopo la diffusione da parte di Palazzo Balbi degli stipendi della categoria rapportati a quelli degli ospedalieri e dei pediatri di libera scelta (che peraltro non c’entrano nulla col braccio di ferro in corso), lo scontro si è alzato di livello e ogni tentativo di venirsi incontro è saltato.
«Non c’è stato più alcun contatto — conferma Domenico Crisarà, segretario regionale della Fimmg — la polemica non aiuta. Al colpo basso rispondiamo con un convegno aperto al pubblico e al quale abbiamo invitato il governatore Luca Zaia, l’assessore Coletto, il direttore generale della Sanità regionale Domenico Mantoan, i consiglieri di Palazzo Ferro Fini, sindaci e sindacati. In quell’occasione sarà illustrato uno studio della Cgia di Mestre su produttività, costi e retribuzioni dei medici di base e noi porteremo i nostri Cud. Non abbiamo nulla da nascondere ed esortiamo gli ospiti a esibire i loro, così sarà la gente a decidere chi dice il vero e chi il falso. È ora di fare chiarezza — chiude Crisarà — e di guardarci negli occhi. E’ triste e paradossale che un medico debba chiudere l’ambulatorio per farsi ascoltare. Siamo umiliati e offesi».
Il simposio si terrà nei prossimi giorni, a Venezia o a Padova, si stanno decidendo data e luogo. Intanto entriamo nella guerra delle cifre, iniziata con la percentuale di adesione allo sciopero degli scorsi 8 e 9 novembre, che ha fatto esplodere la miccia: secondo i sindacati ha incrociato le braccia l’83% dei 3150 medici di famiglia veneti, mentre la Regione, ragionando sulle ricette saltate, si è fermata al 52%, facendo rimediare alle Usl una denuncia per divulgazione di false informazioni, depositata in Procura a Venezia dalle quattro sigle citate. Palazzo Balbi ha poi certificato per un dottore di base singolo e con 1300 assistiti una retribuzione di 95mila euro l’anno, che salgono a 107mila con 1500 pazienti. Per i medici associati gli importi arrivano rispettivamente a 120.365 e 136.187 euro per 15 ore di lavoro a settimana(contro i 61.130 euro di un ospedaliero e i 110.561 di un primario). Il citato dossier della Cgia per un dottore di famiglia cita invece un compenso lordo annuale di 107.535 euro, che al mese diventano 8961. Ma da questa cifra vanno sottratti 1761 euro di costi di gestione e 3065 di imposte e contributi, per un utile al netto delle imposte (pressione fiscale al 43%) di 4135 euro. «Dallo stipendio dobbiamo detrarre le bollette dello studio, cioè luce, acqua, gas, telefono — specifica Salvatore Cauchi, segretario regionale dello Snami — e poi l’acquisto dei computer, i sostituti quando siamo in ferie o in malattia, la donna delle pulizie, il commercialista, auto e benzina per le visite domiciliari, il materiale di ufficio. Altro che ricchi, se Coletto vuole toglierci la convenzione e farci passare alle dipendenze del servizio pubblico ben venga, ci guadagneremmo. E comunque io non mi siederò mai più al tavolo delle trattative se ci sarà lui, che ci accusa di essere dei nullafacenti mangiasoldi. Pubblichi gli stipendi dei politici, invece di dire bugie sui medici, che salvano tante vite».
Solidarietà dal Pd, che a ottobre aveva voluto un Consiglio regionale a tema e che ora ha elaborato un ordine del giorno per condividere le ragioni della mobilitazione.
Il Corriere del Veneto – 14 novembre 2017