L’intero governo Monti ha reso noto le proprie dichiarazioni fiscali, così come il presidente della Camera, Fini e il neosegretario leghista, Maroni. Manca invece Bossi. A Montecitorio e al Senato maggioranza dei deputati “trasparenti”
Bersani e Casini ci sono, Berlusconi e Alfano no. Non tutti i leader di partito hanno dato l’assenso per pubblicare sui siti di Camera e Senato la dichiarazione dei redditi. E proprio il ‘Paperone’ dei parlamentari, da sempre, cioè il Cavaliere, con un reddito di 48 milioni di euro, non figura nell’elenco degli onorevoli che hanno messo ‘in chiaro’ la propria situazione patrimoniale.
Va ricordato che le dichiarazioni (su supporto cartaceo) sono comunque consultabili dai cittadini presso il Servizio delle prerogative, delle immunità parlamentari e del contenzioso, a Palazzo della Sapienza, in Corso Rinascimento a Roma. Ma in nome di una maggior trasparenza, dopo il pressing dei deputati radicali eletti nel Pd, Camera e Senato avevano aperto la porta della rete alle dichiarazioni dei redditi dei parlamentari. Un’iniziativa, naturalmente, su base volontaria, alla quale non tutti hanno aderito.
Nella lista di quanti hanno detto di sì ci sono il presidente dell’Assemblea di Montecitorio e leader di Fli Gianfranco Fini, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini e quello dell’Idv Antonio Di Pietro, oltre al neo segretario leghista Roberto Maroni. Mancano all’appello, invece, l’ex leader del Carroccio Umberto Bossi, il segretario del Pdl Angelino Alfano e, appunto, l’ex premier e leader del Pdl Silvio Berlusconi.
I sei deputati radicali del Pd, che avevano condotto una battaglia parlamentare perchè i redditi dei parlamentari fossero consultabili in rete, Rita Bernardini, Marco Beltrandi,
Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci, Maurizio Turco ed Elisabetta Zamparutti, ci sono tutti nella lista degli onorevoli che hanno acconsentito a rendere pubblici i propri redditi.
A Montecitorio, tra i presidenti dei gruppi ci sono più sì che no: online, infatti, sono i redditi di Benedetto Della Vedova (Fli), di massimo Donadi (Idv), di Dario Franceschini (Pd), di Silvano Moffa (Popolo e territorio), di Gian Luca Galletti (Udc). Non hanno dato l’assenso, almeno per ora, il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, il presidente dei deputati della Lega Gianpaolo Dozzo e il presidente del gruppo Misto Siegfried Brugger, della Svp. Tra i big, hanno detto di sì alla pubblicazione in rete dei redditi anche Massimo D’Alema e la vice presidente della Camera Rosy Bindi.
Stesso risultato anche al Senato, dove i ‘trasparenti’ vincono per 5 a 3, anche se la composizione della squadra che ha scelto di pubblicare online i redditi non è la stessa della Camera. Hanno detto di sì, infatti, il capogruppo di Coesione nazionale Pasquale Viespoli, il presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro, quello dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri, il presidente dei senatori dipietristi Felice Belisario, il capogruppo Udc Gianpiero D’Alia.
Non sono disponibili in rete sul sito di Palazzo Madama, invece, i redditi del capogruppo del Carroccio Federico Bricolo, quelli di Giovanni Pistorio, presidente del gruppo Misto di palazzo Madama, e quelli del presidente dei senatori del Terzo Polo e leader di Alleanza per l’Italia Francesco Rutelli, che però ogni tre mesi pubblica la propria situazione patrimoniale e il saldo dell’estratto conto sul suo profilo facebook.
Fra quanti, alla Camera, hanno dato l’ok per la pubblicazione in rete dei redditi anche alcuni ex ministri del governo Berlusconi, come Franco Frattini e Renato Brunetta, mentre, almeno per ora, non compare la dichiarazione dei redditi dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti e dell’ex titolare della Difesa Ignazio La Russa.
Il numero dei deputati che ha dato il via libera alla pubblicazione dei dati patrimoniali on line è comunque in aumento, dai 205 di febbraio, infatti, gli ‘onorevoli redditi’ in rete sono passati ai 253 di giugno. Quanto al governo, Monti ha imposto per tutti, se stesso compreso, la pubblicazione on line dei redditi. E così è stato.
Repubblica – 9 luglio 2012