In video collegamento da Port Sudan con alcuni giornalisti a Ginevra, in Svizzera, Abid ha dichiarato che «una delle due parti» nel conflitto ha preso controllo del laboratorio centrale di salute pubblica di Khartoum, «cacciando fuori i tecnici» e impedendone il rientro. Lo scenario che si apre può essere «estremamente pericoloso», ha detto Abid, sottolineando che la struttura contiene agenti patogeni di poliomelite, morbillo e colera. Abid non ha voluto precisare a quale delle due fazioni vada attribuito il blitz, ribadendo il grado di urgenza di una situazione dove i tecnici non possono nemmeno «entrare nel laboratorio e mettere al sicuro i materiali biologici». La denuncia dell’Oms esaspera ancora di più la tensione nella capitale sudanese, già provata da oltre 10 giorni di conflitto e pochissimi spiragli verso una «de-escalation» della resa dei conti fra i due generali golpisti al-Burhan e Dagalo, rispettivamente alla testa delle forze armate regolari e dei paramilitari delle Rsf. La stessa Oms stima un bilancio attuale di 459 vittime e almeno 4.072 feriti, una stima che fonti interne alla stessa Organizzazione ritengono parziali rispetto alla portata di un conflitto che potrebbe essere alle sue battute iniziali.
L’accordo di cessate il fuoco che si sarebbe dovuto aprire per 72 ore nella notte fra il 24 e il 25 aprile è già apparso in bilico ieri, con uno scambio di accuse reciproche fra le parti su «violazioni» che si sono materializzate con raid aerei e scontri a fuoco. I paramilitari della Rsf hanno diffuso dal proprio account Twitter una nota dove rovesciano tutte le responsabilità sulle forze armate, invocando un intervento della comunità internazionale. L’esercito ribalta l’accusa, mentre il ministero degli Esteri sudanese contesta ai paramilitari l’aggressione di diplomatici esteri e denuncia l’assassinio di un funzionario egiziano. Negli ultimi giorni si è assistito all’esodo del personale diplomatico e dei civili internazionali, con la chiusura di varie ambasciate – inclusa quella italiana – e il rimpatrio di urgenza dei cittadini che hanno accettato di lasciare il Paese.
A rimanere intrappolati a Khartoum sono milioni di sudanesi, blindati nelle proprie case o luoghi di riparo in condizioni sempre più precarie. L’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha) dell’Onu evidenzia che «la carenza di cibo, acqua, medicinali e carburante» sta diventando sempre più acuta sia a Khartoum che nelle aree circostanti. Un allargamento delle ostilità accrescerebbe i flussi di migranti in fuga nei paesi confinanti, aumentando la pressione sulle frontiere. L’Onu ha già stimato almeno 20mila ingressi nel vicino Ciad, con la possibilità di altri 100mila arrivi nel «peggior scenario». Nel caso del Sud Sudan la stima è di almeno 170mila rifugiati in arrivo nel paese, aggravando un’emergenza umanitaria già ai limiti. Lo Stato, nato nel 2011 con la scissione da Khartoum, ospita 2,3 milioni di sfollati e tre quarti di una popolazione da circa 11 milioni ha bisogno di «assistenza umanitaria» nel 2023.