Andrea Grignolio. «Entro il 2015 sarà disponibile un farmaco contro il virus Ebola, ma sarà disponibile solo per chi non si è mai espresso contro i vaccini, gli Ogm, la sperimentazione animale e BigPharma». La prima parte della proposizione è cautamente probabile, la seconda, seppur inventata, sarebbe auspicabile, almeno come spauracchio, per inchiodare a un principio di coerenza gli antiscientisti che popolano l’Italia. Lo scoppio dell’epidemia di Ebola e l’apparente successo del siero Zmapp, che sembra aver salvato la vita a due americani, insegna diverse cose.
Innanzitutto ci ricorda la realtà della ricerca senza cadere nelle trappole delle «ideologie da benessere». Per millenni l’uomo ha dovuto combattere e trovare forme di equilibrio con vicini, e coinquilini, come virus e batteri. La domesticazione di piante e animali se, da un lato, è stata una liberazione per l’uomo, che si è trovato una fonte energetica e tempo libero a disposizione, dall’altro ha significato adattarsi a numerose infezioni, spesso capaci di passare su un nuovo ospite come l’uomo. Secoli bui di timori religiosi e rimedi inesistenti hanno costellato la storia della civiltà nella guerra contro un nemico misterioso, che flagellava popolazioni inermi. Talvolta sterminandole. È stata questa la storia dell’uomo da quando ha deciso di abbandonare gli alberi, sino a un secolo fa. In 50 anni sono stati sviluppati vaccini per prevenire e poi sulfamidici e antibiotici per curare infezioni in atto, tutti farmaci capaci di rovesciare quello che sembrava essere l’immutabile rapporto di forze tra uomo e organismi infettivi. Eppure, sono bastate poche generazioni di benessere igienico ed economico perché millenni di paure lasciassero il passo a diffidenza e discredito verso le vaccinazioni. Non incontrare più un passante deturpato dalla poliomielite, non guardare più occhi sfigurati dal tracoma o leggere sui quotidiani l’ecatombe dei bimbi morti nei primi anni di vita ha inciso sulla percezione pubblica. La stessa che ora si lascia istruire dal «sentito dire» e che ritiene pericolose le vaccinazioni e inutile la sperimentazione animale e che avversa gli Ogm e detesta le case farmaceutiche, in nome di un poetico ritorno a un passato rurale.
Ma il passato si è riaffacciato: si chiama Ebola. Media e dibattito pubblico mostrano fiducia verso i laboratori che sembrano offrire farmaci in grado di contrastare questa pandemia. Ma sarebbe opportuno ricordarsi dei laboratori anche «in tempo di pace». Un tempo che, solo nell’ultimo anno, ha visto in Italia un disegno di legge per eliminare la sperimentazione animale, un calo drammatico (del 25% per morbillo e rosolia) delle vaccinazioni, una proposta di legge, evitata per un soffio, che voleva la galera per chi piantava gli stessi Ogm che altri Stati europei coltivano. Ricordiamocelo tra qualche mese: è creato grazie a foglie di tabacco Ogm il farmaco Zmapp anti-Ebola. Occorrerebbe anche ricordarsi che, prima di essere stato provato eccezionalmente su due esseri umani, il farmaco è stato ottenuto utilizzando topolini (per creare anticorpi monoclonali) e scimmie (per testarne l’efficacia). Anche i cinque vaccini in sperimentazione (di cui uno italiano, sviluppato dal gruppo di Riccardo Cortesi all’Irbm di Pomezia) sono stati testati su primati che sono sopravvissuti alla successiva inoculazione del virus, indice di una protezione del 100%.
Un’altra bella storia suggerisce Zmapp: quanto sia preconcetta l’avversione per le ricerca farmaceutica. L’azienda biotech di San Diego che lo produce ha deciso di offrire gratis le proprie scorte. È stata fondata nel 2003 e ha una decina di dipendenti, sebbene Zmapp sia il prodotto di una intricata collaborazione tra agenzie canadesi, americane e partner industriali – tra cui una multinazionale del tabacco! – come spesso accade nei casi di virus a rischio di bioterrorismo. Gli altri vaccini sono prodotti da centri di piccola o media dimensione e da multinazionali. Né i piccoli sono stati occultati da Big Pharma, né quest’ultima ha dominato il palcoscenico, con buona pace dei complottisti della Rete che potrebbero incidentalmente percepire questo dato di realtà: la ricerca è perlopiù un trasparente gioco di collaborazione competitiva tra intelligenze, proteso al benessere.
Ieri, all’Onu, la presidente di Medici Senza Frontiere. Joanne Liu, denunciando l’inazione internazionale nei Paesi africani colpiti dall’Ebola, ha chiesto agli Stati che hanno capacità di risposta ai disastri biologici di inviare materiali e personale. L’Italia è in prima linea con un vaccino sperimentale e con un gruppo di virologi dell’ospedale Spallanzani, attualmente in Sierra Leone. In poco tempo e con pochi fondi sembra dunque che l’Italia sia in grado di agire. Quando, invece, un vaccino renderà la cittadinanza immune dagli antiscientisti?
La Stampa – 3 settembre 2014