Lealtà: ecco cosa chiede adesso Mario Draghi a Matteo Salvini, attraverso i canali che tra i due non si sono mai interrotti. Lealtà necessaria per garantire la navigazione di una maggioranza così eterogenea. Per rispettare un impegno preso con il Parlamento e davanti al Paese. Lealtà che non contempla la sfiducia a Roberto Speranza, un ministro del proprio governo, anche se sostiene una tesi diversa sul coprifuoco. E non prevede neanche ambiguità, astensioni o assenze tattiche.
La verità è che il presidente del Consiglio inizia a essere un po’ stufo di un’escalation che distrae dalla vera sfida che ha di fronte il Paese: gestire l’immensa dote del Recovery e garantire la ripresa dopo la tragedia della pandemia. Non gli piace il metodo, non gradisce l’assenza di misura e le esagerazioni. «Non bisogna superare il limite», ecco la sintesi dei suoi ragionamenti. Non ha voglia, né tempo di inseguire le cento sortite quotidiane con cui il segretario della Lega fa e disfa accordi su cui ha messo la faccia rivolgendosi agli italiani. L’effetto, tra l’altro, è generare caos, con reazioni a catena delle altre forze di governo.
È successo sul decreto per le riaperture, quando Salvini ha stracciato un’intesa bollinata dai ministri leghisti. È accaduto anche ieri, quando il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà si è dovuto catapultare furioso dal capo dell’esecutivo denunciando «l’atteggiamento inaccettabile» del centrodestra, che prima spinge per riformulare l’ordine del giorno e poi comunque non si oppone a quello di Fratelli d’Italia, studiato per mettere in difficoltà l’esecutivo.
Draghi, ovviamente, non ha gradito. E non solo per la vicenda pure risolta dell’odg. Il fatto è che la cavalcata polemica di Salvini sul coprifuoco e contro il ministro della Salute ha pure parzialmente oscurato il passaggio parlamentare sul Recovery, su cui il premier e l’ala tecnica dell’esecutivo hanno speso giorni e notti di lavoro, in una faticosissima corsa contro il tempo.
Non sfugge ormai a nessuno che l’altro bersaglio della strategia del segretario della Lega è Giancarlo Giorgetti. A lui, anche ieri, Draghi si è rivolto per sollecitare responsabilità e un’inversione di rotta. Per avvicinare questo risultato, il numero due del Carroccio pare abbia sollecitato un faccia a faccia tra il premier e Salvini, possibilmente già nelle prossime ore. Un modo per ridurre la pressione che l’ex ministro dell’Interno esercita sull’esecutivo e che sembra motivata anche dalla voglia di ottenere un riconoscimento politico, dopo essere stato escluso nel febbraio scorso dalla lista dei ministri. Nel frattempo, Forza Italia – stretta dal duello tra la Lega e Fratelli d’Italia – si spende per favorire la riscrittura dell’ordine del giorno di maggioranza, ma poi non partecipa (come il Carroccio) al voto sul testo di Giorgia Meloni. Maria Stella Gelmini si spende per contenere i danni. Oggi comunque – annuncia Antonio Tajani – il partito di Berlusconi difenderà in Aula il ministro della Salute, opponendosi alla sfiducia.
E Speranza? Osserva gli eventi. Non si mette certo a rincorrere i voti della Lega, a maggior ragione considerando il fatto che la mozione di sfiducia è promossa da una forza di opposizione. I colleghi ministri lo chiamano per captare umori ed angosce, ma ricevono tutti la stessa risposta: «Se vogliono votare contro, lo facciano. Ho il massimo rispetto del Parlamento. La mia posizione è sempre chiara e non cambia: sono ministro della Salute, difendo e tutelo la salute dei cittadini». Di più: «Non mi faccio condizionare da Salvini. Voti come vuole, io ho una linea che posso difendere davanti al Paese e alla mia coscienza. Lui risponderà alla sua».
E d’altra parte, Draghi ha difeso per due volte pubblicamente il suo ministro, indebolito dall’escalation di Salvini. Speranza lo sa e giura che nulla cambierà, in ogni caso: «Tutti conoscono il mio lavoro e la mia linea, e sono stato riconfermato – ricorda agli stessi interlocutori – E quella linea mantengo». Significa lavorare alle riaperture, ma compatibilmente con il quadro epidemiologico, scegliendo sempre «prudenza e cautela, senza passi più lunghi della gamba». Tocca a Salvini decidere se sfidarlo, non votare contro la sfiducia proposta da Meloni e strappare fragorosamente in Aula. Avventurandosi però su un terreno di aperto conflitto anche con il presidente del Consiglio.