Si prevede un aumento dell’acidità del 150% per fine secolo
L’acidificazione degli oceani, accusa l’UNEP (United Nations Environment Programme, il programma ambientale dell’ONU), mette a rischio le aree di pesca e potrà ridurre significativamente la produzione ittica. «Rispetto all’epoca preindustriale c’è già stato un aumento dell’acidità del 30% – osserva Carol Turley, knowledge exchange coordinator del’Ocean acidification research programme della Gran Bretagna, lo scienziato che ha curato il rapporto per l’organizzazione delle Nazioni Unite – con un tasso di crescita mai visto negli ultimi 65 milioni di anni. E se non si riducono le emissioni di CO2 l’acidità aumenterà entro la fine del secolo del 120-150%. Il che significa da un lato che gli oceani assorbiranno meno anidride carbonica, e dall’altro che ci saranno sempre più problemi per gli organismi marini. Con conseguente riduzione della biodiversità, già oggi sotto stress a causa di pesca eccessiva e inquinamento».
Secondo il recentissimo rapporto presentato alla Cop16 di Cancun – realizzato in collaborazione con il Plymouth marine laboratory e con scienziati provenienti da altre organizzazioni tra cui il National oceanography centre di Southampton e l’Intergovernmental eceanographic Commission dell’Unesco – il fenomeno provocato dall’aumento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera «l’impatto futuro delle crescenti emissioni sulla salute dei mari e degli oceani potrebbe essere molto più ampio e complesso di quanto precedentemente supposto». Il rapporto dice che la chimica degli oceani viene alterata ad una velocità che non si vedeva da 65 milioni di anni, dall’epoca dell’estinzione dei dinosauri. Il pH medio del mondo marino si è ridotto del 30% e la concentrazione di ioni di carbonato è scesa del 16% a partire dalla rivoluzione industriale.
Secondo il rapporto, alcuni organismi come i coralli o i crostacei, nei prossimi decenni potrebbero non essere più in grado di svilupparsi. I loro scheletri soffriranno direttamente dell’acidificazione del loro ambiente. Il tenore del pH diminuirà dello 0,3% prima della fine del XXI secolo, il che rappresenta un aumento dell’acidità del 150%, minacciando direttamente le specie e le popolazioni. L’effetto a catena si ripercuoterebbe da granchi, cozze e altri molluschi e dalle specie dipendenti barriere coralline ai predatori, come il salmone, che si nutrono di piccoli organismi con conchiglie, come ad esempio i ptetropodi. Ma anche i pesci pagliaccio, resi famosi dal cartoon Disney “Alla ricerca di Nemo”, potrebbero diventare più facili prede con la scomparsa degli anemoni che li ospitano. Un bel problema non solo ambientale, ma anche economico e sociale, visto che i crostacei forniscono il 15% delle proteine animali per 3 milioni di persone nel mondo. Circa l’80% delle catture di pesce si verificano in appena il 10% della superficie degli oceani, compresi settori essenziali quali la piattaforma continentale e gli estuari, e il rapporto afferma che molte di queste aree sono indicate come molto vulnerabile all’acidificazione degli oceani entro questo secolo.
Lastampa.it
8 dicembre 2010