In Italia, in Spagna e in Irlanda del Nord oltre il 70% dei giovani ha un lavoro non corrispondente alla qualifica e al proprio campo di studi. La quota scende al 40% in Finlandia e a poco più del 50% in Australia e in Austria. Percentuali comunque elevate, che testimoniano quanto il “mismatch” – inteso non soltanto come iper o sottoqualificazione ma anche come distanza dalla propria specializzazione – pesi sul mercato del lavoro.
All’impatto dell’istruzione e al troppo spesso carente rapporto con il mondo professionale l’Ocse dedica un intero capitolo dell’Employment Outlook 2014 presentato oggi. Raccomandando ai paesi membri sia di promuovere livelli di istruzione più elevati, insieme con competenze di literacy, numeracy e problem-solving, sia di aumentare le occasioni di lavoro per gli studenti. Perché sono ancora troppo pochi i giovani che alternano studio e lavoro e, quando accade, spesso le esperienze lavorative non hanno nulla a che fare con i programmi di studio.
Attingendo dall’enorme mole di dati raccolti con l’indagine sulle competenze degli adulti diffusa nel 2013, sempre poco lusinghiera per l’Italia, la lente dell’Ocse si è potuta focalizzare sui giovani tra i 16 e i 29 anni. Senza rinunciare, prima, a definire «critico» lo sguardo dei governi verso gli under 30: è importante, afferma l’organizzazione, «considerare gli investimenti sulle loro competenze come investimenti sul loro futuro e nella futura prosperità e benessere delle nazioni».
L’obiettivo di partenza dell’Ocse è stato quello di verificare come le diverse competenze nei giovani impattano su due aspetti: il rischio di ingrossare le file dei “neet” (quanti non studiano e non lavorano) e, per i giovani che lavorano, il livello dei compensi orari. I risultati hanno confermato i sospetti: un punteggio alto sulla literacy (l’insieme delle competenze alfabetiche) e un elevato livello d’istruzione fanno ad esempio allontanare decisamente la probabilità di acquisire lo status di neet. Alti livelli d’istruzione, inoltre, più che le competenze, per gli under 30 sono il fattore chiave che condiziona positivamente i guadagni. All’opposto, il mismatch e in particolare l’esercizio di un’attività diversa da quella per cui si è studiato (che è circa doppio nei giovani che lavorano rispetto agli anziani) colpiscono duramente le paghe.
Per evitare distorsioni del genere – sostiene l’Ocse – bisogna moltiplicare le iniziative di orientamento e di promozione dell’alternanza scuola-lavoro. Tenendo presente però che le variabili sono tante. L’analisi mostra come in sistemi poco flessibili dal punto di vista della determinazione dei salari i datori di lavoro tendano a impostare il recruitment su caratteristiche facilmente verificabili – come il livello di istruzione e il settore di studio – trascurando l’aspetto delle competenze. Le grandi aziende sanno “premiare” meglio le capacità rispetto alle piccole. E i lavoratori con contratti stabili full time hanno più probabilità «di raccogliere a pieno i benefici del loro capitale umano».
Il Sole 24 Ore – 4 settembre 2014