Sul fronte del commercio internazionale, il tour europeo del presidente americano, Barack Obama, è stato un fallimento. Tra i temi caldi affrontati dalla Casa Bianca con i partner europei c’era, infatti, quello del Ttip, il trattato di libero scambio tra gli Usa e l’Unione europea: l’obiettivo era quello di arrivare a un’intesa politica ai massimi livelli, mentre a New York fino a venerdì continueranno i negoziati tecnici. Obama vuole chiudere sotto la sua presidente per lasciare un’importante legacy.
L’Europa, però, non ha fretta. O meglio, da un lato Italia e Francia – insieme alla Spagna – vogliono un accordo profondo che garantisca un reale libero accesso ai mercati americani superando la norma “buy american” (quella che impone l’utilizzo del 50% di prodotti made in Usa per ogni appalto pubblico), ma soprattutto sul fronte alimentare chiedono la tutela delle denominazioni d’origine. Dall’altro, i Paesi nordici, con la Germania in testa, sono pronti ad accettare un’intesa quadro più leggera che liberi gli scambi sul fronte dell’industria e delle auto.
La Germania. D’altra parte il capogruppo della maggioranza di governo al Bundestag, Volker Kauder mette in guardia dal rischio di un fallimento del Ttip: “Ancora più imprese tedesche se ne andrebbero in America per produrre là” sostenendo che gli Stati Uniti cercherebbero di stringere accordi commerciali con altri paesi e “alla fine voglio vedere come funzioneremo come paese esportatore”. E alla radio tedesca Deutschlandfunk, Juergen Hardt, coordinatore del governo tedesco per il Ttip ha ribadito che con il trattato “si vogliono aumentare gli standard e non diminuirli”.
La Francia. Una tesi confutata dagli oppositori del trattato secondo cui, invece, la liberalizzazione degli scambi, diminuirà le tutele dei consumatori e dei cittadini. Sono, quindi, soprattutto i movimenti no global a tirare un sospiro di sollievo ascoltando il responsabile francese dei negoziati, Matthias Fekl, secondo cui la possibilità di concludere un accordo “si allontana. Non penso proprio che chiuderemo entro fine anno. Ci stiamo allontanando dall’opportunità, o dal rischio, ciascuno lo giudicherà, comunque ci allontaniamo dalla conclusione”.
L’Italia. Frena anche l’Italia con il presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi che dice: “Siamo favorevoli al trattato e spingiamo perché si concluda nel rispetto di alcune specificità”. Tradotto: il trattato deve rispecchiare le necessarie condizioni di reciprocità, trasparenza, sicurezza alimentare e libero accesso al mercato pubblico. Le stesse in mancanza delle quali anche Parigi dirà no. “Purtroppo il tempo non è dalla nostra parte” ha detto Obama che poi aggiunge: “Se non chiudiamo quest’anno, l’accordo sarà sepolto a lungo. Almeno fino alle fine delle tornate elettorali in Usa ed Europa”.
Il nodo delle elezioni. L’anno prossimo ci saranno le elezioni in Francia, poi in Germania e in Italia e nel 2019 la Commissione europea andrà in scadenza.”Credo che per il Ttip ci sarà ancora molto da attendere, almeno fino al 2020, i dossier aperti sono ancora troppi e con le primarie c’è un rallentamento”, dice l’europarlamentare del Pd, Paolo De Castro, già ministro delle Politiche agricole che poi aggiunge: “Il Parlamento europeo non accetterebbe un accordo al ribasso, per l’Italia l’intesa sull’agricoltura sarebbe importantissima, soprattutto per contrastare il fenomeno dell’italian sounding. Basti pensare che negli Usa nove prodotti su dieci venduti come italiani in realtà non lo sono”.
I problemi sul tavolo. Se sul fronte della governance globale e della regolamentazione mancano solo pochi dettagli (tecnici e ed un input politico chiaro) per definire l’intesa, il vero problema concerne ancora l’accesso ai mercati. Sulle tariffe è stato raggiunto un accordo per la liberalizzazione del 97% dei prodotti, lo stesso vale per i servizi. Il nodo vero – sottolineano gli addetti ai lavori – riguarda gli appalti pubblici e l’agricoltura. Dopo oltre due anni di trattative le parti si sono scambiate una sola offerta, due mesi fa, sul tema appalti. Un tema sul quale la Germania si mostra piuttosto indifferente, ma che per la Commissione europea è cruciale per creare posti di lavoro. Gli americani – in un’ottica di piena reciprocità – non hanno problemi a riconoscere il libero accesso alle loro gare, ma non hanno intenzione di derogare alla legge “buy american”: in sostanza chiunque può aggiudicarsi un appalto, ma il 50% dei prodotti utilizzati per i lavori deve essere americano. Come a dire che un’impresa europea per costruire un autostrada americana dovrebbe utilizzare solo cemento a stelle e strisce.
Lo scontro su agricoltura e investimenti.
Una condizioni inaccettabile per Bruxelles perché discrimina i prodotti europei, non crea lavoro nel Vecchio continente e non alimenta il Pil. Utile, quindi, solo per le multinazionali, ma in contrasto con gli obiettivi dichiarati dal Ttip che punta a una crescita dell’economia – a regime – nell’ordine di 120 miliardi di euro con l’aumento dell’occupazione. Dal punto di vista politico è proprio questa la difficoltà maggiore: quante concessioni è disposta a fare la Ue sul fronte dell’agricoltura e della tutela dei nomi in cambio dell’accesso ai mercati? Se gli Usa hanno un atteggiamento offensivo sul fronte alimentare, su quello degli appalti pubblici giocano con il “catenaccio”. Ma senza una tutela delle denominazioni Igp e Doc, i prodotti europei che competono sulla qualità anziché sui prezzi ne uscirebbero ancora più danneggiati.
I tribunali speciali. Altro nodo fondamentale da sciogliere riguarda il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori (Isds), visto con preoccupazione in Europa perché considerato come un elemento di possibile revisione degli standard europei in materia di salute e ambiente. L’Ue per la prima volta ha posto il tema sul tavolo a febbraio nel round di negoziati di Bruxelles, con gli Stati Uniti che lo stanno ancora valutando. Insomma, la strada resta in salita, ma l’obiettivo dei negoziatori è arrivare a un testo consolidato entro luglio.
Repubblica – 27 aprile 2016