Grazie a un nuovo test basato sull’analisi del Dna – messo a punto dall’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte – sarà più facile combattere le frodi ittiche.
E’ nata a Torino una task force costituita dalla procura, dall’Istituto di via Bologna, e dall’Asl To1: permetterà non solo di smascherare la vendita di pesce non corrispondente a quello indicato in etichetta, ma consentirà anche di riconoscere i prodotti freschi da quelli congelati, e quindi evidenziare sia quando è stato violato l’obbligo di congelare il pesce per la vendita a crudo, sia quando vengono spacciati per freschi prodotti invece congelati.
L’arma della nuova task force anti-frode è il laboratorio. Spiega la dottoressa Maria Caramelli, direttore sanitario dell’Istituto zooprofilattico: «Il fenomeno delle frodi ittiche è in aumento: uno studio evidenzia ad esempio come i grandissimi quantitativi di filetti di platessa in vendita o somministrati in mense e ristoranti non siano compatibili con l’effettiva quantità di platesse presenti nel mare». Le frodi ittiche rappresentano non solo un problema commerciale, ma soprattutto di rischio sanitario: «Caso tipico – ricordano all’Istituto zooprofilattico – è il pesce palla venduto come rana pescatrice: in Giappone lo mangiano volutamente e consapevoli del rischio, ma ci sono chef specializzati per eliminare le parti tossiche».
Il nuovo test messo a punto dall’Istituto zooprofilattico sfrutta il fatto che la completa sequenza del Dna mitocondriale è ormai nota per moltissimi organismi, compresi i pesci commercializzati. Un metodo che può essere utilizzato per la verifica del pesce congelato, affumicato, sott’olio o sotto sale.
Della task force fa parte il pool del procuratore Raffaele Guariniello, la dottoressa Maria Caramelli, il dottor Pierluigi Acutis e la dottoressa Elena Bozzetta dei laboratori di Genetica e di Istologia dell’Istituto zooprofilattico, e il dottor Rino Costa per l’Asl To1. «Dall’inizio dell’attività di controllo sulle specie ittiche nei nostri laboratori – spiega ancora la dottoressa Caramelli – il numero di campioni analizzati ha avuto un incremento del 47 per cento nel 2010, e del 150 per cento nel 2011. Il 26 per cento si è rivelato “non conforme”, non corrispondente a quanto dichiarato in etichetta». Un prodotto su tre era dunque fuorilegge.
Il caso più tipico e più noto è forse quello della platessa sostituita all’insaputa dei clienti da pesce di altre specie di minor valore, in maggioranza provenienti dal Pacifico e non dal Nord Europa. I nuovi controlli mirano a individuare prodotti che richiedono analisi sanitarie differenti, come il pesce persico del Nilo, sottoposto in passato a divieto di importazione per motivi legati all’igiene delle acque. O a prevenire rischi che possono venire da fonti di allergie, o pesci a basso valore nutritivo.
«L’allarme alimentare – sottolinea la dottoressa Caramelli – non è un semplice allarmismo mediatico: è noto che il cibo può veicolare all’uomo diversi agenti di malattia, e i dati epidemiologici internazionali indicano chiaramente che le malattie trasmesse dagli alimenti crescono in modo esponenziale ogni anno». Un ultimo fronte di indagine della task force di cui fa parte la procura sarà quello della tutela delle specie a rischio estinzione come il tonno rosso o quello a pinne gialle. Un patrimonio in via di estinzione.
Si aggiunge così un nuovo impegno per l’Istituto Zooprofilattico del Piemonte, che dopo aver combattuto l’allarme mucca pazza e il pericolo antrace si è candidato nel 2010 a diventare Agenzia italiana per la sicurezza alimentare. L’Italia è forse l’unico Paese d’Europa a non avere un’Authority propria, su questo fronte sanitario, poiché Parma è la sede del Autorità europea.
La Stampa – 5 febbraio 2012