Un quesito al Sole 24 Ore sanità. Sono stato nominato nel mese di settembre responsabile della prevenzione della corruzione dell’azienda sanitaria dove lavoro come dirigente amministrativo. A oggi ho portato a compimento quasi tutti gli adempimenti previsti dalla normativa: il Codice di comportamento aziendale, la formazione per gli operatori nonché la stesura (quasi ultimata) del Piano triennale aziendale.
Le responsabilità dirette e indirette del nuovo incarico sono per me completamente nuove e si sono sommate a quelle derivanti dall’incarico dirigenziale che continuo a svolgere e che, naturalmente, costituisce un aggravio sia di carichi di lavoro che di responsabilità. Il Dipartimento della Funzione pubblica con una circolare dello scorso anno aveva ipotizzato che l’incarico di Rpc potesse essere retribuito secondo le regole generali del contratto collettivo di riferimento. Cosa potrebbe fare in tal senso l’azienda? (M.T.)
La circolare citata dal lettore è la n. 1 del 25 gennaio 2013, contenente le prime indicazioni applicative della legge 190/2012. In particolare, nel paragrafo 2 la Funzione pubblica inquadra diffusamente la figura – del tutto nuova – del Responsabile della prevenzione della corruzione (Rpc) e illustra gli aspetti legati ai termini, al soggetto che nomina il Rpc, ai requisiti, alle incompatibilità, alla durata e al trattamento dell’incarico. Riguardo a quest’ultimo aspetto, a pag. 8 viene affermato che «i rilevanti compiti e funzioni e la consistente responsabilità di cui il responsabile della prevenzione è titolare potranno essere remunerati … mediante la retribuzione di risultato». Quindi la possibilità sussiste ma è lasciata alle determinazioni discrezionali dell’Azienda, non soltanto sul quantum ma soprattutto sull’an. Rispetto alle indicazioni della Funzione pubblica, l’incarico, a mio parere, potrebbe essere remunerato anche in sede di retribuzione di posizione variabile aziendale per le seguenti ragioni. Innanzitutto è la stessa Funzione pubblica che afferma che l’incarico di Rpc segue la dinamica temporale dell’incarico principale per cui dovrebbe essere agevole ritenere i compiti e le funzioni strutturali del Rpc una sorta di arricchimento dell’incarico già in atto da valorizzare secondo i principi generali della graduazione delle funzioni. Inoltre è senz’altro coerente che la remunerazione sia finalizzata ai risultati conseguiti, peraltro facilmente verificabili e misurabili (predisposizione del Codice aziendale, stesura del Piano triennale, selezione e formazione degli operatori, rispetto delle scadenze ecc.) e che, quindi, lo strumento migliore sia la retribuzione di risultato. Ma è altrettanto indiscutibile che il Rpc assume notevoli responsabilità strutturali e continuative che andrebbero compensate per se stesse a prescindere dalla logica dell’obiettivo. In conclusione – sempre a mio parere – fatto 100 un ipotetico valore marginale da attribuire alla nuova figura, io assegnerei 60 alla retribuzione di risultato e 40 alla posizione variabile aziendale. Un’ultima precisazione riguardo al finanziamento di tale remunerazione. È di tutta evidenza che gli importi (qualsiasi dovesse essere la scelta) devono gravare sui fondi contrattuali, senza alcun maggiore onere per il bilancio. In tal senso, sarebbe profondamente giusto che vengano ripartiti tra i fondi della dirigenza Spta e quelli della dirigenza MV in quanto le funzioni in discussione sono senz’altro trasversali e attengono a obiettivi strategici dell’Azienda nella sua interezza. Alcune Aziende hanno seguito questa strada che mi sembra di grande buon senso e innovazione.
(Stefano Simonetti) – Il Sole 24 Ore – 9 febbraio 2014