Salvo ostacoli dell’ultima ora, oggi l’assemblea regionale approverà, in forma di legge, il Piano socio-sanitario del Veneto. Una “road map” quadriennale, ambiziosa nei contenuti quanto incerta negli esiti, che mira a riformare il sistema del welfare per adeguarlo alle mutate esigenze della popolazione e renderlo sostenibile rispetto ai drastici tagli di spesa imposti dall’esecutivo.
Punto di partenza è la ridefinizione dei bacini di utenza delle Usl, la cui dimensione ottimale è fissata in 200-300 mila abitanti, salvo le deroghe concesse alle zone lagunari, alla montagna e al Polesine. Se non resterà sulla carta, il nuovo indice comporterà una sensibile riduzione delle attuali 25 aziende sanitarie. Verso il taglio dei posti letto. A seguire, la ristrutturazione gerarchica della rete ospedaliera, con due «hub» di riferimento regionale-nazionale (Padova e Verona) dove si praticheranno medicina d’eccellenza e ricerca; e una dorsale di ospedali «principali» nei sette capoluoghi di provincia; gli altri presìdi avranno compiti differenziati: alcuni diventeranno hospice di comunità (casi acuti ma non gravi), altri saranno riconvertiti in unità riabilitative territoriali, altri ancora saranno declassati a poliambulatori o chiusi tout court. L’obiettivo è comprimere i centri di spesa fissa – anche attraverso il taglio dei posti letto – e concentrare le risorse umane e finanziarie sui servizi, a cominciare dalle reti cliniche (oncologica, infarto, neurologica, Suem 118) composte da reparti collegati oltre i confini delle rispettive Usl. Nell’ambito delle terapie di base, la novità (già avviata in via sperimentale e volontaria) è la medicina di gruppo integrata con pool di camici bianchi che garantiscano la presenza 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, per dare una prima risposta alle situazioni «a bassa intensità» che non richiedono ricovero. Gli investimenti nel digitale. Altri capitoli; sul fronte dei malati terminali la volontà è di allestire un centro di cure palliative in ogni Usl mentre l’impulso all’informatizzazione si traduce in una promessa: entro l’anno tutti i veneti potranno ricevere sul pc di casa i loro referti e contemporaneamente sarà realizzato il fascicolo socio-sanitario digitale. Vistoso e impegnativo il ruolo riservato agli infermieri, figure professionali definite «centrali» che uno specifico emendamento al Piano (già approvato dall’aula) ha autorizzato alla gestione di fondi e personale. Ma la sanità pubblica veneta non è un rivolo ordinario dell’attività regionale. Con i suoi 8,6 miliardi di budget assorbe quasi l’80% del bilancio di Palazzo Balbi, occupa direttamente 60 mila persone e risponde ai bisogni di 5 milioni di utenti. Soldi, poltrone, potere, sì. Al timone organizzativo (in base al nuovo Statuto) ci sarà un direttore generale, nominato dal governatore su «parere obbligatorio e vincolante» del consiglio. La circostanza ha innescato un braccio di ferro e in aula l’assessore alla sanità Luca Coletto ha tentato, con un emendamento, di restituire la titolarità della nomina alla giunta, ma senza successo. Contratti e valzer di nomine. Comunque sia, questa figura potrà essere scelta tra esperti e professionisti esterni all’amministrazione e assunta con contratto privato a tempo determinato: avrà competenza sulle attività programmazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento. Le aziende sanitarie, a loro volta, saranno guidate da un direttore generale nominato dal presidente della giunta (con analogo vincolo consiliare) e avrà un incarico non più quinquennale ma triennale, non rinnovabile nella stessa Usl per più di due mandati e soggetto a valutazione annuale; in caso di mancato rispetto dei vincoli di bilancio e/o delle direttive della programmazione il contratto tra Regione e dg verrà risolto e l’unità sanitaria potrà essere commissariata. Spetterà al dg nominare le tre figure apicali interne (direttore sanitario, amministrativo, dei servizi sociali e della funzione territoriale) e nominare i primari «motivandone meriti e professionalità». L’incarico a questi ultimi avrà durata quinquennale e verrà affidato sulla base di un «contratto standard regionale» che dovrà prevedere anche la valutazione dell’operato – affidata allo stesso direttore generale – in base al numero e alla qualità delle prestazioni erogate, alla valorizzazione dei collaboratori, alla soddisfazione dei pazienti e al rispetto degli obiettivi di bilancio.
Il Mattino di Padova – 20 giugno 2012