In tre anni ha «messo in ordine» l’ospedale di oggi e sta lavorando per gettare le basi di quello di domani. Profilo basso, poche conferenze stampa e ancor meno inaugurazioni: al termine del mandato triennale a capo dell’Azienda ospedaliera, che scadrà il 31 dicembre, il direttore generale Claudio Dario traccia un bilancio positivo.
Ha investito 53,4 milioni di euro in edilizia, tecnologia e informatica, ottenendone dalla Regione altri 22,8 (tra 2015 e 2016), spazzato via la dispersione nelle tante strutture con la filosofia della «triplice vocazione» (area chirurgica al Policlinico, medica al Monoblocco, ambulatoriale al Giustinianeo), ridotto i ricoveri ordinari (dai 46.663 del 2013 agli attuali 46.113) potenziando del 20% Day Surgery e Day Hospital, ricapitalizzato il patrimonio da -144 milioni di euro a 121, ridotto i debiti con i fornitori da 469 milioni a 280, decurtando i tempi di pagamento da 400 a 70 giorni e quindi strappando migliori condizioni di negoziazione. Solo per citare gli interventi maggiori. E adesso? «Adesso bisogna fare il nuovo ospedale — sentenzia Dario — c’è una necessità vitale di spazi. Va scelta l’area in via definitiva, dopodiché si comincerà a trasferire qualcosa, fossero anche solo eliporto e magazzini. La decisione dell’area è un punto di non ritorno e se il Comune ha deciso per Padova est deve produrre gli strumenti urbanistici, che ora mancano. La delibera di giunta che individua quella zona da sola non basta, il sindaco Massimo Bitonci deve portare a noi, stazione appaltante del nuovo ospedale, Pat e Pati».
Il 10 dicembre infatti la commissione tecnica presenterà al governatore Luca Zaia quanto richiesto, cioè: la valutazione sulla sicurezza idrogeologica di Padova ovest, come richiesto dal Tar dopo la bocciatura di tale opzione da parte della Regione; la destinazione e le possibili ricadute sul tessuto sociale dell’attuale complesso di via Giustiniani; il confronto con Finanza e Progetti, la spa autrice del project da 634 milioni di euro previsto per Padova ovest e quindi decaduto. A meno che non possa essere riproposto su Padova est. «Con Finanza e Progetti ci sono rapporti formali — spiega Dario — abbiamo inviato una nota e siamo in attesa di riposta». Nel futuro di domani c’è anche la riforma della sanità veneta, con le Usl ridotte da 21 a 7 e la proposta dell’Università di inglobare il Sant’Antonio nell’Azienda ospedaliera. «Parliamone — concede il dg —. Che l’attività ospedaliera sia gestita dall’azienda o dall’Usl è solo una scelta strategica, la qualità delle cure al cittadino non scenderà. E’ anche vero che tre ospedali, incluso lo Iov, per una città di 250mila abitanti sono troppi: è un assetto che risale al 1995 e che va rivalutato, perché la situazione odierna è cambiata. Ciò che auspico, indipendentemente dalla mia riconferma o meno, è che l’Azienda ospedaliera venga ulteriormente valorizzata, perché ha un patrimonio di professionalità e conoscenze da non disperdere. E va coltivato anche il rapporto con l’Ateneo, già nettamente sviluppato su obiettivi comuni. Quanto a me: beh, sono idoneo come dg in quattro regioni, male che vada torno a fare il cardiologo».
Se si guarda indietro, Dario ammette: «Quando sono stato destinato qui ero molto preoccupato, ero abituato bene a Treviso, non avrei mai creduto di poter ottenere questi risultati in tre anni. In sintesi abbiamo potenziato i livelli di attività abbattendo i costi, spendendo 250 milioni di euro l’anno per i ricoveri e 100 per le prestazioni specialistiche (salite da 6,4 milioni a 7,1 milioni, ndr)». «E’ il risultato del lavoro di una grande squadra — dice il direttore sanitario Daniele Donato — che ha permesso operazioni decisive ma molto complicate. Per esempio abbiamo appena chiuso il Centro Gallucci per manutenzione senza che nessuno se ne sia accorto, perché fino alla riapertura del 7 gennaio i pazienti vengono operati nella piastra del secondo piano del Policlinico, forte di 5 sale in attività 12 ore al giorno. Sono rientrati in sede la Clinica oculistica, prima allo Iov, il Centro odontoiatrico, che ci costava 750mila euro d’affitto, e altri 350 medici impegnati anche nella libera professione per un totale di 700 su mille. In più abbiamo definito 7 percorsi assistenziali per i pazienti che si presentano al Pronto soccorso ma sono differibili di 24 ore o più. Siamo orgogliosi: quello che da noi si fa in un mese, altrove accade in tre anni».
Corriere Veneto – 26 novembre 2015