Pagheremo le tasse sulla casa in base ai metri quadrati, e non più con i vani catastali. E lo faremo partendo dalla realtà del mercato immobiliare, e non più da valori fiscali archeologici. La riforma del catasto è tutta qui.
Il Governo la avvierà probabilmente la prossima settimana, approvando la delega per la riforma fiscale, ma l’obiettivo era stato annunciato dal premier Mario Monti già prima di Natale: correggere il valore su cui si applica l’Imu, così da superare le sperequazioni nella distribuzione del prelievo senza aumentare il carico complessivo.
Le ingiustizie dell’Imu
Ci sono case in centro che sono rimaste accatastate come stamberghe, e pagheranno pochi spiccioli di Imu, anche se negli anni si sono trasformate in loft di lusso. E ci sono alloggi penalizzati da una distribuzione delle stanze che – a parità di superficie – fa aumentare il numero dei vani e la rendita catastale. Sono queste le classiche ingiustizie delle rendite catastali. Alle quali va aggiunto però l’effetto delle fluttuazioni del mercato, che nelle metropoli ha portato i prezzi a superare anche di 8-10 volte i valori fiscali, mentre in provincia – dopo l’ultima rivalutazione del 60% con l’Imu – non è raro trovare casi in cui i due importi sono allineati.
Per ora dall’agenzia del Territorio non trapelano indicazioni. La bozza del Governo, però, permette già di fissare qualche punto fermo nella road map verso il nuovo catasto. Si partirà dalla divisione del territorio di ogni comune in tanti «ambiti territoriali del mercato», così da distinguere – a esempio – le vie dei negozi dai quartieri residenziali. Negli ultimi dieci anni, il Territorio ha già compiuto molto lavoro su questo fronte, individuando ad esempio a Milano 59 microzone, che “mappano” la città in modo più dettagliato rispetto alle tre zone censuarie.
Il secondo passo sarà la revisione delle categorie catastali, ormai superate. Basti pensare che oggi il 70% delle case è in A/2 o A/3, ma questa distinzione – che quasi sempre implica più tasse per le A/2 – non ha alcun legame con il mercato. Si potrebbe passare, allora, a una classificazione più semplice (case singole, palazzi e abitazioni di lusso) divisa poi in sottogruppi.
Definiti gli ambiti e le categorie, bisognerà attribuire un valore fiscale a ogni singolo immobile. E qui entrerà in gioco l’algoritmo, cioè la funzione informatica che, partendo dai valori medi, li declinerà in base alla caratteristiche della zona e del singolo edificio. E consentirà anche di aggiornare periodicamente i valori, evitando che la fotografia catastale delle città diventi rapidamente sbiadita.
Tutta questa operazione, comunque, richiederà tempo. E infatti la relazione governativa parla prudentemente di «qualche anno». Ma bisognerà anche stanziare le risorse economiche necessarie per far lavorare al meglio il Territorio, in tandem con i Comuni e i professionisti.
Chi perde e chi guadagna
Una simulazione di quello che potrebbe succedere con il nuovo catasto è riportata negli esempi in questa pagina. Partendo dalla base imponibile dell’Ici, rivalutata ai fini del l’Imu, è stata calcolata l’aliquota che – applicata ai valori di mercato – può garantire allo Stato lo stesso gettito di 21,4 miliardi: in pratica, 1,5 per mille sulla prima casa (anziché 4 per mille, sempre con la detrazione di 200 euro) e 3 per mille sugli altri immobili (anziché 7,6 per mille). Applicando queste aliquote alle quotazioni correnti rilevate dagli operatori di mercato si scopre chi ci rimette e chi ci guadagna.
Gli esempi tralasciano volutamente i casi limite. Anche così, però, la differenza è evidente. Il carico fiscale aumenta nelle grandi città e nelle zone turistiche più rinomate, mentre tende a diminuire in provincia. Ma possono sperare in uno sconto anche le zone di periferia delle grandi città, gli immobili costruiti di recente o totalmente ristrutturati e le vecchie case di pregio che – negli anni – hanno sofferto il degrado del quartiere o dell’edificio in cui si trovano.
Il piano, dunque, è delineato. L’esperienza, però, impone cautela: il progetto di riforma del catasto pareva ben avviato già qualche anno fa, e poi si è arenato. Quanto alla pressione fiscale, molto dipenderà dal margine di manovra che sarà lasciato ai Comuni: lo Stato potrà anche ridurre le aliquote base, ma se i sindaci saranno costretti a fare cassa rischierà di riproporsi la stessa raffica di rincari che sta prendendo forma in queste settimane con l’Imu applicata al vecchio catasto
ilsole24ore.com – 26 marzo 2012