I nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo in rendita pensionistica contenuti nel decreto ministeriale pronto per la Gazzetta Ufficiale potrebbero alleggerire del 2-3% le pensioni erogate tra il 2013 e il 2015. Ma l’estensione fino a 70 anni (dai 65 di oggi) del calcolo dei coefficienti previsto dalla riforma Fornero garantirà la massima equità attuariale, e quindi pensioni più ricche, per chi deciderà di lavorare qualche anno in più. In attesa di poter leggere i numeri dei nuovi coefficienti che entreranno in vigore il prossimo gennaio, sarebbero questi gli effetti dei nuovi valori messi a punto dai tecnici del Lavoro, in concerto con l’Economia, per determinare gli importi delle prime rate annue delle future pensioni.
Ad annunciare che il testo è pronto (è stato firmato il 15 maggio) è stato lo stesso ministro del Lavoro, Elsa Fornero, rispondendo a una delle domande dei nostri lettori pubblicate sullo speciale relativo alle pensioni di ieri. I nuovi coefficienti, calcolati sulla base di diverse variabili come l’aspettativa di vita, la probabilità del lavoratore (o della lavoratrice) di lasciare il nucleo familiare, la differenza di età tra coniugi e altre variabili che hanno un impatto sulle stime legate all’assegno di reversibilità, dal prossimo anno eserciteranno un potente effetto incentivante per i lavoratori che decideranno di restare in azienda ancora qualche anno dopo aver maturato i requisiti per la pensione. Abolita la finestra unica, dai 65 ai 70 anni, per ogni singolo anno, il lavoratore potrà fare un facile conto di quanto crescerebbe la sua pensione moltiplicando il montante contributivo raggiunto con il nuovo coefficiente, operazione che i 65enni fino al 2012 non hanno potuto fare proprio perché il loro moltiplicatore non andava oltre quel limite di età.
I nuovi coefficienti, sicuramente più bassi di quelli del 2010, entreranno in funzione nell’anno, il 2013, in cui l’aspettativa di vita aumenta di tre mesi, portando a 66 anni e 3 mesi il requisito per la pensione di vecchiaia di lavoratori dipendenti e autonomi e delle lavoratrici del pubblico impiego (62 e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti del settore privato). E saranno validi per i tre anni successivi. Il prossimo ricalcolo, sempre per un triennio, scatterà nel 2016, mentre a partire dal 2019 (l’anno dell’allineamento a 67 anni per la pensione di vecchiaia per tutti) i successivi aggiornamenti avranno una cadenza biennale, in tandem con gli adeguamenti previsti dalla riforma che agganciano i requisiti di accesso al pensionamento all’aspettativa di vita.
L’effetto incentivo al posticipo della pensione prodotto dai nuovi coefficienti estesi fino a 70 anni rappresenta uno dei più potenti stabilizzatori della spesa pensionistica dei prossimi anni, caratterizzati da un progressivo invecchiamento della popolazione. E a garantire la tenuta di questo pilastro del sistema contributivo c’è la garanzia della procedura amministrativa automatica di adeguamento dei coefficienti, liberati in questo modo dal «rischio politico» che ne ha di fatto sospeso per anni gli aggiornamenti previsti dalla riforma Dini del 1995.
Nel nuovo contesto contributivo a pesare in negativo sulle pensioni future sarà invece il meccanismo di valorizzazione dei montanti contributivi, che al termine di ogni anno fa scattare una rivalutazione basata sulla variazione del Pil nominale (calcolato dall’Istat sulla media dei 5 anni precedenti la rivalutazione). In tempi di recessione alternata con anni di crescita sostanzialmente piatta le prospettive sugli assegni futuri non sono buone. Da qui l’incentivo al posticipo che, al di là dell’assegno più pesante, può funzionare solo se sul mercato del lavoro si determineranno le effettive condizioni di occupabilità dei più anziani. Un «nodo» molto chiaro al ministro Fornero che, sempre nelle risposte ai lettori del «Sole 24 Ore», ha rilanciato l’ipotesi di una misura ad hoc per incentivare «meccanismi di solidarietà espansiva» che consentano ai lavoratori di accedere il più gradualmente possibile alla pensione, magari passando gli ultimi anni in azienda con forme di impiego part-time. Una misura che potrebbe vedere la luce nelle prime fasi di implementazione della riforma del lavoro.
Valori più leggeri per «pesare» tutta la dote dei contributi
I nuovi coefficienti di conversione, che dal prossimo anno verranno utilizzati per l’applicazione del metodo contributivo nell’ambito dell’Inps, terranno conto dell’evoluzione della sopravvivenza media della popolazione italiana e risulteranno più elevati di quelli attualmente previsti. Verranno applicati interamente al montante dei contributi rivalutati secondo la variazione media quinquennale del Pil e non solo alla quota maturata dal 1° gennaio 2013 (data dalla quale entreranno in vigore). Il loro impatto risulterà negativo: a parità di montante maturato l’applicazione dei nuovi coefficienti avrà come conseguenza prestazioni più contenute. Il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra la prima rata di pensione annua e la retribuzione percepita nell’ultimo anno di servizio, si ridurrà in maniera equivalente.
I nuovi coefficienti, così come stabilito dal decreto legge 201/2011, saranno accompagnati anche dall’incremento, sempre a partire dal 2013, dei requisiti anagrafici e contributivi necessari per ottenere tutte le prestazioni (di vecchiaia e anticipata) previste dall’Inps.
Per la prima volta i nuovi coefficienti, per tener conto di un’età di pensionamento che andrà a crescere, saranno estesi alle età di pensionamento successive ai 65 anni, fino ai 70. L’articolo 24 della riforma Monti-Fornero incentiva, infatti, a proseguire nel lavoro anche oltre l’età “ordinaria” della pensione di vecchiaia.
L’effetto di un eventuale posticipo del pensionamento è illustrato dalle proiezioni pubblicate sul Sole 24 Ore di ieri, curate da Aon Hewitt. I dipendenti che decidono di andare in pensione più tardi ricevono infatti una prestazione, in alcuni casi, significativamente più elevata, in particolare quando tale prestazione è determinata utilizzando il metodo contributivo. La minore aspettativa di vita infatti (e il minor periodo, quindi, lungo il quale presumibilmente la prestazione sarà corrisposta) prevista al crescere delle età di pensionamento individua un trattamento (equivalente al montante dei contributi accantonati) più elevato.
In particolare le proiezioni sono state elaborate per tre dipendenti-tipo con un’età di 40, 50 e 60 anni; per ciascuno sono state previste tre età di pensionamento (66, 68 e 70 anni di età), in corrispondenza anche con tre possibili evoluzione retributive: moderata (con una retribuzione percepita nell’anno immediatamente precedente il pensionamento pari, in valore reale, a 30mila euro), intermedia (con una retribuzione finale, sempre in valore reale, di 75mila euro) ed elevata (con una retribuzione finale di 150mila euro). La retribuzione iniziale è pari per tutti a 15mila euro. Nelle sostanza i tre dipendenti possono vantare, nell’ambito del sistema pubblico, il medesimo periodo di iscrizione, con la stessa anzianità contributiva, la stessa evoluzione retributiva eccetera. L’unica differenza è che tale periodo risulta essere traslato di dieci anni in dieci anni, prevedendo, per i più giovani, un’applicazione progressiva sempre più rilevante del metodo contributivo. L’impatto positivo sulla copertura finale per l’eventuale ritardo del pensionamento viene fortemente attenuato dall’applicazione del nuovo metodo di calcolo che comporta al contrario una riduzione della prestazione garantita. Per esempio, con un’evoluzione retributiva moderata, al compimento dei 66 anni di età il dipendente con oggi 60 anni può attendersi dal sistema una pensione finale pari a circa il 79% dell’ultima retribuzione, mentre invece il lavoratore 40-enne dovrebbe ricevere una copertura pari a circa il 58 per cento.
Il Sole 24 Ore – 18 maggio 2012