«Renzi è sempre stato favorevole all’estensione del Jobs act al pubblico impiego e ci mancherebbe altro, questo governo è nato per cambiare le cose non per conservarle così come sono, soprattutto se rappresentano, in modo oggettivo e agli occhi della pubblica opinione, un ingiustificato privilegio».
Nello staff del presidente del Consiglio, fra i suoi consulenti più stretti, la questione è messa in questi termini: Renzi deve decidere solo quando spingere sull’acceleratore e affrontare un’altra battaglia con il suo partito, o con quel pezzo del Pd che si oppone, insieme ad una rete ministeriale e burocratica, all’estensione delle nuove norme sul lavoro alla Pubblica amministrazione.
Con la dichiarazione di ieri, rilasciata in un’intervista a Qn , sembra che il capo del governo abbia in sostanza lanciato un messaggio. Se a decidere sarà il Parlamento, come dice ora Renzi, certamente dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato, e in sede di discussione dei provvedimenti sulla Pubblica amministrazione, è abbastanza verosimile pronosticare una maggioranza, non per forza di cose uguale a quella attuale: Ncd e Scelta civica, le due prime costole dell’alleanza, sono favorevoli all’estensione, ma anche Forza Italia, e probabilmente anche la Lega, se le Camere dovessero votare, sarebbero della partita. A quel punto il Pd vivrebbe l’ennesima crisi interna, che potrebbe essere superata solo con un’adesione maggioritaria alla parificazione fra pubblico e privato.
Del resto proprio in sede di Consiglio dei ministri, la vigilia di Natale, e durante i lavori preparatori dello stesso, fu proprio Renzi a pretendere che fosse eliminato quel comma che in un primo tempo escludeva in modo esplicito l’estensione dei decreti delegati sul lavoro al settore pubblico. «Nessuna decisione è stata presa senza che Renzi non l’abbia vagliata in prima persona», racconta chi ha partecipato al confezionamento del testo.
Chi ha assistito a una trattativa a tratti concitata, il 24 scorso, raccontava ieri che il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia erano perfettamente d’accordo sul punto e che quest’ultimo ha detto in modo esplicito che l’estensione delle norme del Jobs act al settore pubblico sono «un pezzo fondamentale» proprio della riforma della Pubblica amministrazione che il governo si propone di varare nei primi mesi del 2015.
Una posizione che nella stessa maggioranza di governo viene commentata da Scelta civica, dal capogruppo Andrea Mazziotti, in questo modo: «Renzi dovrà dimostrare anche in questa sede di essere capace di battere le resistenze conservatrici della sinistra del Pd, noi siamo certi che lo farà, almeno il Renzi che conosciamo noi».
Valutazioni che si abbinano a quelle che circolano nel partito di Angelino Alfano, che ha già dovuto incassare parecchie delusioni e che si dichiara indisponibile a lasciar correre anche sul tema del pubblico impiego. «Il governo non può essere un monocolore», ha dichiarato ieri Roberto Formigoni, preannunciando che proprio sul tema del Jobs act e del rapporto con la P.a. il suo partito non è disponibile a incassare altri stop.
Insomma sembra che con le parole di ieri Renzi abbia voluto guadagnare tempo: per i prossimi passaggi su Italicum, riforme costituzionali ed elezione del nuovo capo dello Stato, gli serve un Pd che non sia attraversato da altre scosse. Con un nuovo inquilino del Colle e con la legge elettorale all’ultima boa deciderà se e come condurre l’ennesima battaglia interna al suo partito.
Marco Galluzzo – Il Corriere della Sera – 29 dicembre 2014