Primo accordo tra governo e sindacati sulle nuove pensioni. Si tratta di una serie di misure che saranno riversate nella legge di Bilancio di metà ottobre. Tra le novità l’anticipo pensionistico il cui tetto massimo per evitare tagli dell’assegno scende però da 1.500 a 1.300 euro lordi al mese. Segue l’aumento di circa il 30% della quattordicesima per gli importi più bassi e l’estensione dell’assegno a 1,2 milioni di pensionati. Nel Def i grandi numeri che faranno da cornice a una manovra di finanza pubblica che prevede misure per 8 miliardi tra lotta all’evasione e tagli alla spesa. Per la decisione finale bisognerà aspettare metà ottobre e il disegno di legge di Bilancio. Ma intanto, sulle nuove regole per le pensioni, governo e sindacati hanno raggiunto un primo accordo con un verbale di cinque pagine firmato ieri. Nel documento non si dice quanti soldi ci saranno per finanziare il pacchetto e si premette che l’obiettivo è «adottare alcune delle misure elencate di seguito».
Non per forza tutte, dunque. Una vaghezza forse necessaria a ottenere le firme di tutte e tre i sindacati, Cgil, Cisl e Uil. Per dare concretezza è il ministro del Lavoro Giuliano Poletti a dire che «vogliamo rendere disponibili sei miliardi di euro in tre anni». L’anno prossimo la dote dovrebbe essere di 1,7 miliardi, per poi salire a 2,2 nel 2018, e a 2,5 l’anno successivo. Ma tutto dipenderà da quel mosaico di spese e coperture chiamato legge di Bilancio.
Le misure indicate nel menù sono quelle annunciate negli ultimi giorni, con qualche novità per l’Ape, l’anticipo pensionistico: scende da 1.500 a 1.300 euro lordi al mese il tetto massimo per evitare tagli sull’assegno alle categorie deboli. Forse è anche il risultato dei rilievi arrivati nei giorni scorsi dalla Ragioneria dello Stato che, proprio a causa dell’Ape, temeva un aumento della spesa pensionistica di oltre l’1%. In effetti nelle ultime ore il tavolo ha rischiato addirittura di saltare e sono stati soprattutto i contatti informali con la Cisl a tenere in piedi la situazione. Non a caso è proprio il segretario della Cisl Anna Maria Furlan la più soddisfatta: «Finalmente dopo tanti anni i pensionati vedono un po’ di giustizia». Mentre per la Cgil Susanna Camusso apre ma non troppo: «Si è fatto un buon lavoro ma non è ancora concluso», «alcune cose sono condivise altre no». Le perplessità della Cgil sono in particolare sull’Ape volontaria, l’anticipo pensionistico con tagli sull’assegno del lavoratore fino al 20%. Sul punto i lavori sono ancora in corso e gli ultimi dettagli saranno definiti con la legge di Bilancio. «Se non condivideremo saremo di fronte al dissenso», aggiunge Camusso. Segno che la firma di ieri è solo un primo passo e che il giudizio finale arriverà solo quando saranno definiti tutti i dettagli. Il segretario della Uil Carmelo Barbagallo insiste sulle risorse: «I sei miliardi sono insufficienti ma il lavoro continua». Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, invece, si sofferma sul metodo: «Quando si recupera un clima di leale confronto tra governo e parti sociali è un grande valore per il Paese».
IMPORTO RIDOTTO DEL 6% L’ANNO PER CHI ESCE PRIMA
L’Ape, l’anticipo pensionistico, consentirà di lasciare il lavoro 3 anni e sette mesi prima del previsto ai nati tra il 1951 e il 1953. Chi lo sceglierà su base volontaria subirà un taglio dell’assegno del 6% per ogni anno d’anticipo, compresi gli interessi bancari e l’assicurazione. Al massimo la penalizzazione arriverà quindi poco sopra il 20%. Poi c’è il cosiddetto Ape social, riservato alle persone in difficoltà: disoccupati senza ammortizzatori sociali, disabili, lavoratori con disabili a carico e persone che svolgono quelle attività «gravose» che saranno definite nelle prossime settimane. Qui c’è una novità. Si era sempre detto che l’assegno non sarebbe stato tagliato a chi, rientrando in queste categorie, aveva una pensione al di sotto dei 1.500 euro lordi al mese. La soglia si è abbassata a 1.300 euro visto che nel documento si indica come parametro la Naspi, il nuovo assegno di disoccupazione, che ha proprio quell’importo. La cifra precisa, però, verrà definita nei prossimi giorni perché dipende da quanto ampia sarà la categoria delle attività gravose, che inciderà sui costi dell’operazione. Per chi ha un reddito più alto il taglio dell’assegno ci sarà, ma non andrà oltre il 3% per ogni anno di anticipo. In caso di ristrutturazioni aziendali il costo dell’Ape sarà a carico delle stesse imprese, senza gravare né sullo Stato né sul lavoratore. I lavoratori che avranno maturato i requisiti per l’Ape potranno scegliere anche la cosiddetta Rita, rendita integrativa temporanea anticipata. In sostanza una piccola rendita che «pesca» dalla previdenza complementare, con una tassazione agevolata intorno al 15%, contro il 23% previsto oggi per l’anticipo del Tfr.
TUTTI I CONTI DELL’APE: TEST-CONVENIENZA SULL’USCITA ANTICIPATA
Importi dell’assegno, costi, penalizzazioni e rata dei rimborsi per gli ultra 63enni che lasciano volontariamente il lavoro
Il percorso per accedere all’anticipo pensionistico inizierà dal possesso di tre requisiti, ricordati nel verbale siglato ieri da governo e sindacati: almeno 63 anni di età; maturazione dei requisiti per l’assegno di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi; importo della pensione non inferiore a un certo limite, ancora da mettere nero su bianco.
Potrà essere richiesta in tre situazioni: per scelta del lavoratore che, pur non essendo in difficoltà, vuole lasciare l’impiego (Ape volontaria); per i lavoratori in condizioni di maggior bisogno, quali disoccupazione, problemi di salute, necessità di assistere famigliari (Ape social); in caso di crisi di azienda o comunque per facilitare il turnover dei dipendenti (Ape aziendale).
L’Ape, nella sostanza, è un prestito erogato in rate mensili da una banca in favore del pensionando, a copertura del periodo che intercorre tra l’anticipo e la maturazione vera e propria della pensione, che scatta al raggiungimento dei requisiti standard per la vecchiaia. Una volta giunti al traguardo della vecchiaia, terminerà l’erogazione del prestito e inizierà la fase del rimborso dello stesso, in rate mensili, per i seguenti venti anni (indipendentemente dalla durata dell’anticipo).
Tutta l’operazione comporta dei costi. Tra questi c’è il prestito, per il quale, sulla base delle indicazioni emerse nei mesi scorsi, si può ipotizzare un tasso annuo nominale del 3 per cento. C’è anche il premio assicurativo che deve essere stipulato a copertura del rischio di premorienza del lavoratore-pensionato e che può essere ipotizzato pari al 30% del valore dell’Ape. Inoltre c’è un “costo previdenziale” determinato dal fatto che si rinuncia a versare l’ultimo periodo di contributi. Questo determina una riduzione permanente dell’importo della pensione rispetto a quello a cui si avrebbe diritto se si continuasse a versare i contributi fino al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia.
Come evidenziato negli esempi a fianco, nella fase di anticipo l’assegno sarà inferiore alla pensione teorica a contributi pieni perché, sempre stando alle indicazioni emerse, l’importo massimo che si potrebbe chiedere dovrebbe essere il 95% della pensione. Una volta raggiunto il diritto per il trattamento di vecchiaia, questo sarà ridotto per via dei contributi non versati e per il “peso” della rata mensile del prestito da restituire. Questi ultimi due oneri, nel caso dell’Ape social, cioè per i lavoratori in difficoltà, sarebbero interamente a carico dello Stato (almeno fino a un determinato importo dell’anticipo). Quindi il pensionando subirebbe solo la penalizzazione determinata dal mancato versamento dei contributi nel periodo di anticipo.
Se l’Ape è una scelta volontaria, tutti gli oneri saranno a carico del lavoratore, mentre nel caso di Ape aziendale l’impresa può contribuire a coprire i costi tramite il versamento di contributi che andranno a determinare un incremento della pensione che compenserà l’onere dell’anticipo. Rispetto alle ipotesi circolate finora, nel verbale di ieri si ipotizza di ricorrere a questo strumento per favorire il turnover del personale, che è una situazione più ampia della mera crisi aziendale, dato che anche in un momento di buona salute un’impresa può decidere di favorire l’ingresso di nuovi dipendenti in sostituzione di quelli prossimi alla pensione.
Dal punto di vista operativo, l’Inps dovrebbe svolgere un ruolo centrale in quanto dovrebbe certificare il diritto all’anticipo, l’importo minimo richiesto e gestire l’erogazione del prestito e l’assicurazione, le cui caratteristiche dovranno rispettare le condizioni di miglior favore individuate in una convenzione stipulata tra le banche e le società assicuratrici aderenti all’iniziativa e il ministero dell’Economia e delle finanze.
Il peso dell’Ape, in caso di uscita volontaria, potrà essere ridotto ricorrendo a un anticipo della pensione integrativa, qualora si abbia accumulato un capitale nel “secondo pilastro”. Il governo, infatti, dovrebbe modificare il quadro normativo in modo da consentire l’utilizzo degli importi accumulati anche prima del raggiungimento dell’età pensionabile. Questa rendita integrativa temporanea anticipata (Rita) dovrebbe poter essere affiancata all’Ape o addirittura sostituirla interamente. Per favorire questo nuovo utilizzo della previdenza complementare sarà ridotta la tassazione ora prevista sugli anticipi, allineandola a quella applicata alla pensione integrativa. (Il Sole 24 Ore)
LA RICONGIUNZIONE DEI CONTRIBUTI DIVENTA GRATUITA. INCLUSI I PERIODI DI RISCATTO DELLA LAUREA
Diventa gratuita la ricongiunzione dei contributi per chi li ha versati a enti diversi avendo cambiato lavoro nel corso della sua carriera. Oggi chi chiede la ricongiunzione si vede presentare un conto spesso troppo salato e alla fine rinuncia. La ricongiunzione diventerà gratuita per tutti i lavoratori: dipendenti, autonomi (compresi i professionisti) e anche gli iscritti alle gestioni separate, quelle dei precari. L’assegno sarà calcolato pro-rata, cioè con le regole di ciascun ente di previdenza, senza più il vantaggio di poter scegliere il metodo più conveniente.
Nel meccanismo sono «inclusi i periodi di riscatto della laurea». Di conseguenza il versamento dei contributi per gli anni passati all’università non avrebbe più solo l’effetto di aumentare il cosiddetto montante ma sarebbe valido anche ai fini del raggiungimento dei requisiti per le pensioni di vecchiaia e anticipate.
Dal Corriere della Sera e dal Sole 24 Ore – 29 settembre 2016