Nel prossimo biennio la sanità veneta cambierà fisionomia: sette ospedali saranno chiusi e le risorse liberate finanzieranno una nuova rete di pronto intervento, assistenza e cura sul territorio. Queste le anticipazioni del Mattino di Padova di oggi destinate a fare discutere. Subito in giornata da registrare la presa di posizione dell’assessore alla sanità Coletto: «Le istituzioni parlano attraverso atti formali e l’individuazione della nuova rete degli ospedali spetterà alla Giunta dopo l’approvazione definitiva del Pssr da cui discenderanno strategie e linee guida e infine le schede ospedaliere». «La lista delle dismissioni, continua il Mattino, comprende i presìdi ospedalieri di Dolo, Piove di Sacco, Adria o Porto Viro, Noventa Vicentina, Valdagno, Bussolengo e «Borgo Roma» a Verona (nella foto).
«E’ una riforma radicale – continua il quotidiano del gruppo L’Espresso – quella delineata nelle “schede tecniche” abbinate al Piano socio-sanitario già all’esame della Prima commissione regionale: all’approvazione definitiva del documento di programmazione, prevista entro l’estate, seguiranno i provvedimenti operativi correlati. In tutto si prevede il taglio di duemila posti letto. Di cui 850 solo nel Veronese. Tutti salvi invece i presidi delle province di Treviso e Belluno.
La cessazione di attività di un ospedale, a prescindere dalla sua effettiva funzionalità, è un atto altamente impopolare, avvertito come una lesione dei livelli del welfare dall’opinione pubblica; perché, allora, gli artefici della politica sanitaria – il governatore Luca Zaia, l’assessore Luca Coletto, il segretario Domenico Mantoan – hanno deciso di percorrere questa strada? Le ragioni sono molteplici ma il punto di partenza è rappresentato dall’introduzione dei costi standard che, a partire dal 2013, comporteranno un taglio dell’8% (5-600 milioni l’anno per le casse venete) negli stanziamenti ministeriali. Una cura dimagrante che impone scelte selettive, a cominciare dalla rinuncia al costoso mantenimento di strutture giudicate «inessenziali». Ma quali criteri hanno ispirato l’individuazione dei punti destinati a chiudere? Anzitutto, la prossimità ad altri ospedali adeguatamente attrezzati: Mirano e Mestre nel caso di Dolo, il «Sant’Antonio» di Padova e Chioggia per Piove di Sacco, Rovigo come alternativa ad Adria-Porto Viro (sono ancora in ballottaggio, ne sopravviverà soltanto uno). In altre situazioni – leggi Noventa Vicentina – la ratio è quella di sfoltire un circuito fortemente ospedalizzato e dotato di rapide arterie di collegamento. Oppure, più semplicemente, di coniugare la chiusura del vecchio – Bussolengo e Valdagno – all’avvio del nuovo (Villafranca ampliato e ammodernato, Santorso appena inaugurato). Infine, nel caso veronese, la presenza nel capoluogo di un centro d’eccellenza quale il policlinico «Borgo Trento» induce a ritenere superflua la permanenza di Borgo Roma. Ma quali garanzie verranno fornite ai pazienti sul piano della continuità delle prestazioni? E come sarà riallocato il personale in esubero? La risposta al primo quesito è contenuta in larga parte nello stesso Piano socio-sanitario, laddove si traccia la mappa della sanità «orizzontale» assunta a nuovo modello: piccoli e attrezzati presìdi territoriali dotati di personale specialistico; punti infermieristici in grado di svolgere funzioni di assistenza e di filtro pre-ospedaliero; hospice attrezzati per visite, esami e brevi ricoveri; unità del 118 (ambulanza e cure primarie) attive h 24 e dislocate nelle zone coinvolte dalle chiusure di ospedali; pool di medici di base capaci di garantire reperibilità e visite a domicilio sette giorni alla settimana. Ai chirurghi, poi, sarà chiesto di affiancare i colleghi attivi altrove, così da estendere all’intera giornata i turni in sala operatoria. La svolta che si profila, insomma, non è di poco conto. Ed è facile prevedere il corollario di discussioni, proteste e scontri di potere che ne accompagnerà il processo di attuazione. Influenzandolo, probabilmente, anche se la volontà del governatore Zaia – ribadita nei colloqui con i manager del settore – è quella di garantire la tenuta del sistema, cioè la continuità del welfare,attraverso un rigoroso contenimento dei costi che aggredisca i centri di spesa burocratica e concentri il più possibile le risorse sul versante delle prestazioni. Sarà un percorso in salita, certo, ma la sanità del Veneto non è all’anno zero. Pur scontando l’eredità di un debito consolidato vicino al miliardo, l’opera di risanamento intrapresa ha già prodotto risultati tangibili, a cominciare dall’attivo di bilancio corrente messo a segno nel 2010 e ribadito nel 2011. È all’orizzonte anche una riforma delle unità sanitarie locali, che ne prevede una drastica riduzione: l’obiettivo ottimale sarebbe di accorparle e farle coincidere con i sette capoluoghi ma, dinanzi all’inevitabile levata di scudi dei distretti coinvolti, è probabile si persegua un traguardo intermedio. Nel frattempo la giunta di Palazzo Balbi ha congelato fino al 31 dicembre prossimo le nomine e i movimenti dei primari: una spia eloquente dell’imminenza avvio del processo di riorganizzazione. Le incognite, però, non si limiteranno al “fuoco amico” delle forze politiche di maggioranza sensibili al favore dell’elettorato – Lega e Pdl con le loro roccaforti di consensi – all’opposizione annunciata del centrosinistra. Né alle reazioni indispettite degli interessi lesi dalla sforbiciata a poltrone e rivoli finanziari. L’artefice “tecnico” della riforma, il segretario Mantoan, è cosciente che le chance di successo sono proporzionali al tasso di adesione da parte del personale medico, infermieristico, tecnico, amministrativo. Ed è in questa direzione che lavorerà nei prossimi mesi, augurandosi che dal Governo non giungano brutte sorprese in forma di contrazioni dei budget o di aggravi dei costi (un esempio per tutti: il prossimo aumento di due punti dell’Iva comporterà rincari nel pagamento dei servizi pari a una sessantina di milioni) che pregiudicherebbero il fragile equilibrio
Tagliati in totale duemila posti letto
Il ventaglio delle chiusure ospedaliere prospettate comporterà una riduzione di posti letto vicina alle duemila unità, in linea con l’obiettivo regionale di abbassarne la percentuale dal 3,5 attuale al 3 per mille abitanti. Nel dettaglio, l’ospedale di Dolo comprende 365 posti letto, quello di Piove di Sacco (nella foto) 290, 230 ad Adria (e altrettanti al candidato «alternativo» Porto Viro, 124 a Noventa Vicentina, 166 a Valdagno, 170 a Bussolengo e ben 682 all’ospedale veronese «Borgo Roma». A tal proposito, i responsabili della politica sanitaria fanno notare che la tendenza prevalente nei sistemi di welfare occidentali è quella di contenere il numero dei posti letto negli ospedali (fonte di costi onerosi) privilegiando l’assistenza e le cure primarie dirette nel territorio, accompagnate magari da ricoveri brevi e «mirati». Un procedimento, in parte, già avviato anche nel Veneto.
Cura dimagrante per la corazzata veronese, perderà 850 posti letto
L’eterna rivale “in sanità” di Padova, la città di Verona, dovrà cedere alla Regione ben due ospedali: da una parte Borgo Roma, alfiere dell’azienda ospedaliera scaligera insieme a Borgo Trento, e poi la struttura di Bussolengo, che fa capo all’Usl 22, azienda sanitaria territoriale della provincia. Verona perderà, a causa del colpo di mano della Regione Veneto, oltre 850 posti letto: una vera e propria rivoluzione per una città che ha sempre potuto contare su di una quantità di degenze di gran lunga superiore alla media regionale. A Borgo Roma, insieme all’Ospedale Civile Maggiore, vengono svolte numerose attività d’eccellenza, tra cui trapianti, interventi di Neurochirurgia, Cardiochirurgia, Chirurgia toracica. Borgo Roma dispone di 682 posti, dei quali 589 posti letto ordinari e 93 per il day-hospital. Bussolengo invece conta su numeri di gran lunga inferiori: si tratta di un presidio ospedaliero da circa 170 posti letto, di rete dell’Usl 22, che eroga prestazioni attraverso moltissime unità operative, tra cui Anatomia, Rianimazione, Cardiologia, Chirurgia, Dermatologia, Endocrinologia, Gastroenterologia, Medicina, Neurologia, Oculistica, Oncologia, Ortopedia, Ostetricia , Otorinolaringoiatria, Pediatria, Pneumologia, Urologia.
Si salvano solo Treviso e Belluno
Solo le province Treviso e Belluno si salvano dal taglio degli ospedali previsto con le nuove schede ospedaliere. Nella Marca resistono, oltre al nosocomio del capoluogo – il Santa Maria di Ca’ Foncello –, Conegliano, Oderzo, Castelfranco, Vittorio Veneto e Montebelluna. Tira un sospiro di sollievo anche la montagna: nel Bellunese “resistono”, infatti, oltre al San Martino, gli ospedali di Agordo, Pieve di Cadore e Auronzo. Infine, sul fronte dell’Usl 2, nessuna novità prevista nemmeno per Feltre e il nosocomio di Lamon».
Il Mattino di Padova – 27 marzo 2012