Dopo il Branchetto e Malga Derocon, adesso l’«attacco» è avvenuto in contrada Tiglio, in Val d’Illasi. Altre sette si sono salvate: i corpi hanno lesioni e mutilazioni provocate dai morsi di un predatore L’allevatore: «Sulla neve è rimasta un’impronta»
BADIA CALAVENA (Verona) – Altra strage dopo le capre di Branchetto e i camosci di Malga Derocon: della prima è sospettato come colpevole il lupo, ripreso dalle webcam del Corpo Forestale dello Stato e del Parco della Lessinia, della seconda tre cani di grossa taglia sfuggiti al controllo del proprietario residente in una contrada di Roverè e finiti in gabbia. A farne le spese questa volta sono state sei pecore di razza Brogna e tre agnelli, sgozzati e dilaniati nella notte e trovati il mattino successivo da E. C. residente in contrada Tiglio di Badia Calavena, una località lontana alcuni chilometri dal centro del pese e molto isolata sulla dorsale Est della Val d’Illasi. Gli animali, regolarmente registrati all’anagrafe veterinaria, sono di proprietà del fratello, ed E. C. che li cura, si è trovato di fronte a una scena raccapricciante. «Quando sono entrato nell’ovile erano tutte stese a terra, sembravano tutte morte, poi al suono della mia voce alcune si sono alzate e solo allora ho potuto valutare i danni reali». Si sono salvati o hanno danni apparentemente non rilevanti, perché nel parapiglia si sono acquattati al suolo, fingendosi morti, due montoni, due pecore adulte e tre giovani e poi un agnellino di un mese e mezzo che ha riportato la lussazione di un arto anteriore ma è rimasto orfano. Ora viene allevato con il biberon e il latte in polvere. Il veterinario Luca Mari, del distretto 3 di Colognola ai Colli dell’Ulss 20, ha steso una relazione in cui denuncia la morte dei nove capi «con lesioni multiple e mutilazioni dovute a morsi di animale/i (cane/i, cinghiale/i) sconosciuto entrato durante la notte nell’allevamento». Il riferimento ai cinghiali è determinato dal fatto che sono state trovate sbranate anche le zampe, ma essendo animali che non aggrediscono le pecore, si è ipotizzato che siano entrati nell’ovile a strage già compiuta, accanendosi sui resti, mentre una coscia completamente sbranata ha fatto pensare al lupo o a un cane affamato. «Sono qui da una decina d’anni con questo allevamento», fa sapere E.C. ma non mi è mai successo una cosa del genere: io sono cacciatore e so che animali si muovono qui attorno. Non ho neanche mai visto la volpe e presumo che una strage del genere sia opera di almeno una coppia di cani». È sorpreso che anche i suoi cani, un pastore tedesco e un english springer spaniel, tenuti però in un recinto a circa 300 metri dall’ovile, non abbiano dato segni di nervosismo e nello stesso tempo di non aver colto sul fatto l’autore o gli autori del misfatto nonostante le cinque-sei ispezioni quotidiane nell’ovile, anche di notte. Dopo la carneficina E. C. ha vegliato per due notti nell’ovile, nella speranza di cogliere il ritorno del predatore, ma invano. Nessuno si è fatto vivo. L’unica cosa rilevata è stata un’impronta lasciata sulla neve di una zampa simile a quella di un cane. «Un allevamento partito dieci anni da una coppia di pecore e che in realtà non ha mai reso come avrei sperato, è stato distrutto in una notte», spiega E.C. «Avevo già messo in conto di chiudere con l’anno prossimo e vendere tutto perché in queste condizioni è troppo impegnativo lavorare», ammette, «in quanto ci vengono chiesti sistemi di protezione che sono troppo costosi per garantire la sicurezza dell’allevamento». Mostra la ricevuta di 400 euro richiesti dalla ditta per lo smaltimento delle carcasse delle nove pecore predate. «Questi soldi ho dovuto pagarli, mentre per il danno subito non vedrò un quattrino», si lamenta.
L’Arena – 6 marzo 2012