Fare business con il non profit. Può apparire solo un gioco di parole, ma in realtà il terzo settore è uno dei comparti più dinamici del paese, un giro d’affari intorno ai 67 miliardi di euro (superiore al dato della moda) e circa 650 mila addetti.
Questo spiega l’interesse degli studi d’affari, da tempo impegnati ad allargare il proprio orizzonte di azione per fronteggiare il calo del fatturato relativo ai settori core come il finance e l’m&a.
Ma il successo non è assicurato in questo settore, come dimostra l’assenza di alcuni big della consulenza legale italiana. Le specificità delle singole forme giuridiche costitutive e la continua evoluzione normativa del comparto impongono un costante aggiornamento agli specialisti, che non molti avvocati d’affari considerano meritevole di impegno a fronte di parcelle sensibilmente più basse rispetto alla media. Senza considerare i frequenti casi di consulenza prestata pro-bono come servizio alla comunità locale, spesso considerando il ritorno di immagine che un impegno di questo tipo può assicurare.
Da quanto emerso dal monitoraggio che segue, comunque, nessuno studio si è dotato di una practice non profit, ma i progetti vengono seguiti dai professionisti coinvolti dalle organizzazioni di settore e secondo le competenze richieste dallo specifico bisogno. Di fronte all’incertezza normativa che caratterizza il comparto e alla crescente difficoltà di reperire fondi in una fase di crisi economica acuta del paese, un fatto comunque è certo: il terzo settore è destinato ad accrescere il suo ruolo all’interno della società perché va a colmare il vuoto creato dal progressivo ritiro dello Stato dalle politiche di welfare. Quanto basta per spingere gli avvocati a considerarlo più del passato.
ItaliaOggi – 6 agosto 2012