Pensionati di diritto. Senza pensione di fatto. In molti scrivono a Repubblica , raccontano di burocrazie respingenti, pellegrinaggi agli sportelli, ansia e rassegnazione. Perché dopo una vita di lavoro – si chiedono – bisogna aspettare anche 14 mesi per avere ciò che spetta? I dati dell’Inps sono contraddittori. Ma confermano che la pensione erogata in due ore e mezza o in una manciata di giorni è stata solo una felice eccezione, legata al debutto di Quota 100 in marzo e aprile, quando la politica – Lega soprattutto – spingeva l’Inps a velocizzare con le elezioni europee alle porte. Anche a costo di mettere in coda le pratiche ordinarie, con un quarto di liquidazioni in meno nel primo trimestre di quest’anno. Ora però, a urne chiuse, il fuoco si è spento. E anche Quota 100 è finita a galleggiare nell’ordinario limbo delle attese senza un perché.
Le storie
Gelsia Farignoli si sente «furiosa» perché il marito di 67 anni, in pensione dal primo agosto, ancora non ha visto un centesimo, «ma dobbiamo pagare bollette e tasse, siamo in difficoltà, lui passa dalla rabbia alla depressione profonda ». Chiede: «Inefficienza dell’Inps o corsia preferenziale per Quota 100?». Le risponde Susanna Morgia: «Siamo tutti nella stessa barca. Io sono andata in pensione il primo settembre con Quota 100 e ancora niente». Francesco Casella di Milano, 65 anni, invalido al 100%, 43 anni di contributi, docente di liceo dal 1980 riferisce di una «burocrazia anonima che oppone sordi muri di gomma a chi pretende solo un suo diritto ». L’ultimo stipendio risale al 23 agosto, «ma nel frattempo devo far fronte a ingenti spese e mi sento impotente». Rita Padoan, ex medico ospedaliero, 47 anni e 6 mesi di contributi, è in pensione dal primo giugno, ultimo stipendio il 27 maggio, «ma ancora non ho ricevuto l’assegno, pur avendo fatto diversi solleciti alla sede Inps di Milano, l’ultima volta mi hanno detto: ci vogliono dai 6 agli 8 mesi». Fioralba Giordani, infermiera di Roma con 42 anni di contributi, racconta che dopo la lettera a Repubblica l’Inps si è impegnata a erogarle la pensione «non prima del 20 gennaio, in ragione di un loro “calendario”, sette mesi dopo il mio stipendio!». Ma «perché nessuno mi ha scritto una mail, un rigo, un sms per dirmi che stavano lavorando per me e di avere pazienza?». Luciano Crespi, ex docente universitario al Politecnico di Milano, dopo 45 anni di servizio non ha ancora potuto incassare la liquidazione. «L’Inps mi ha detto: deve attendere 12 mesi più 3. E poi dopo altri solleciti: entro 24 mesi. I due anni sono passati e niente. È questo un comportamento da Paese civile?».
I dati
Cosa succede dentro l’Inps? I dati relativi al primo trimestre 2019 (tra gennaio e marzo), contenuti nel Rendiconto sociale e forniti dalla Direzione centrale Pensioni, dicono che in effetti un rallentamento c’è stato nei tempi medi di liquidazione delle pensioni di vecchiaia o anticipate: 53 giorni per i dipendenti privati (+10% sul 2018 quando erano 48 giorni) e 76 giorni per i dipendenti pubblici (+52% sui 50 giorni del 2018). Se però si guardano i dati del primo semestre 2019, questa volta forniti da un’altra Direzione centrale Inps Pianificazione – lo scenario diventa virtuoso e persino surreale. I tempi medi di liquidazione – ovvero la distanza tra la decorrenza del diritto e l’accoglimento o respingimento della domanda scendono a 24 giorni per i privati e 29 giorni per i pubblici. Com’è possibile passare dai 53 giorni nel primo trimestre a 24 giorni nel primo semestre per i privati e da 76 a 29 giorni per i pubblici? Se i due dati fossero compatibili, vorrebbe dire che nel secondo trimestre – tra aprile e giugno – l’Inps avrebbe liquidato gli assegni addirittura prima che le persone andassero in pensione. Un caso dell’irrealtà. I dati dunque sono contraddittori. E non chiariscono. Sebbene l’indice di giacenza al 30 giugno – domande spiaggiate in attesa di esame – sia salito rispetto al 2018 dai 52 ai 62 giorni medi (e 222 per i pubblici, ben oltre i 180 giorni di preavviso a cui i dipendenti sono obbligati).
La riforma dell’Inps
Qualcosa non va, dunque. E certo non si possono attribuire tutti i mali dell’Inps – mali antichi – al suo nuovo presidente in quota Cinque Stelle. Ma Pasquale Tridico ne è consapevole, se ha deciso a sei mesi dalla nomina di riformare l’Istituto che guida. Non solo ha accelerato le 3.500 assunzioni decise dal suo predecessore Tito Boeri, aggiungendone altre per rimpolpare l’organico di 5 mila unità rispetto alle 27 mila attuali che gestiscono 400 miliardi di prestazioni per 40 milioni tra cittadini e imprese. Ma ha introdotto nuove direzioni come Povertà e Innovazione – imponendo la rotazione di 40 direttori centrali, a soli due anni dalla precedente operata da Boeri. Una decisione presa in solitudine, prima di essere affiancato dal consiglio di amministrazione ancora perso nei meandri della spartizione politica delle poltrone. Ci vorrà tempo dunque prima che l’ennesima riforma possa essere apprezzata dal cittadino. Nel frattempo Tridico ha varato “Inps per tutti”: un camper nelle grandi città per pubblicizzare e raccogliere domande per prestazioni Inps e soprattutto per il Reddito di cittadinanza, che considera anche una sua creatura. Iniziativa che però potrebbe sottrarre personale dagli sportelli e complicare la situazione. Peggiorando le performance già oggi zoppicanti. Come testimoniano le tante lettere arrivate al giornale.
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