Basterebbe sforbiciare quattro miliardi di euro per evitare un nuovo aumento dell’imposta sui consumi, che avrebbe ulteriori effetti negativi. Eppure, aldilà delle dichiarazioni ufficiali, il governo non sembra farcela
Il ministro Piero Giarda ha detto di aver individuato nella spesa pubblica una prima area di 100 miliardi (circa un settimo del totale) “potenzialmente aggredibile da subito” con tagli significativi. Poi ha soggiunto che, su tempi più lunghi, sarà possibile intervenire su uno stock di uscite di circa 300 miliardi complessivi.
In molti hanno capito fischi per fiaschi, tanto che alcuni giornali hanno disinvoltamente fatto titoli del genere: “Via subito 100 miliardi di sprechi”. Ora può anche darsi che, nel gran calderone del bilancio pubblico, un euro su sette sia effettivamente sperperato, ma per fortuna il buon Giarda è abbastanza responsabile da non sognarsi neppure di realizzare una sforbiciata da 100 miliardi nei prossimi mesi. E ciò perché un taglio di simili proporzioni, ammesso e non concesso che sia fattibile così in fretta, avrebbe un tale impatto sul sistema economico da far cadere il paese dalla padella della recessione nelle braci della depressione più nera.
Rimettiamo perciò i piedi per terra. Aldilà dell’esigenza indiscutibile di sottoporre l’intera spesa pubblica a una severa revisione in ogni suo singolo capitolo, oggi questa operazione va commisurata a un obiettivo urgente e prioritario: realizzare risparmi nell’ordine di 4,2 miliardi per poter così scongiurare la tagliola di un aumento dell’Iva dal 21 al 23 per cento che altrimenti scatterebbe nel prossimo ottobre al fine di mantenere gli impegni assunti in tema di rientro del deficit.
E’ chiaro a tutti, infatti, che quei due punti percentuali in più di Iva avrebbero effetti comunque esiziali su una congiuntura economica già minacciosamente in avvitamento verso il basso.
La conferma che sia questo l’obiettivo immediato è venuta dallo stesso commissario straordinario alla “spending review”, Enrico Bondi, il quale ha cifrato proprio in 4,2 miliardi la somma dei risparmi che ritiene di ottenere operando dentro il perimetro dei 100 miliardi disegnato da Giarda.
A prima vista, quella di eliminare 4 miliardi di uscite su un centinaio non sembra una missione impossibile. Siamo però quasi a metà dell’anno e se alla fine del medesimo si vogliono avere oltre 4 miliardi in più in cassa occorre che di qui al 31 dicembre se ne taglino almeno fra i sette e gli otto. Più tardi agisce la forbice e più il conto diventa salato.
Altro non piccolo inciampo riguarda i soggetti da coinvolgere necessariamente nell’operazione. La spesa da tagliare è quella della pubblica amministrazione nel suo complesso: dunque, anche quella di Regioni, Province e Comuni. Fino a che punto gli enti locali sono disposti a collaborare?
Ci sono, per esempio, Regioni che – pur continuando a foraggiare ambascerie e missioni inutilmente dispendiose a Roma, a Bruxelles e altrove – reagiscono a ogni blocco di risorse vuoi protestando per asserita lesione della loro autonomia vuoi minacciando per ritorsione di smantellare servizi ben più indispensabili per i cittadini.
A parte gli specifici decreti di taglio, è pronto il governo a predisporre strumenti legislativi atti a troncare sul nascere il rischio di una guerra di principio sui confini giuridico-economici fra Stato ed enti locali? Il precedente dello scontro sulla abolizione delle Province non induce a sperare per il meglio. Nel frattempo, il conto alla rovescia per l’aumento dell’Iva non si ferma
L’Espresso – 7 giugno 2012