Il divieto di alimentare animali che vivono in libertà contrasta con l’articolo 2 della legge 281/91. Lo ha stabilito il Tar Puglia Lecce, con la sentenza n. 1736 dell’11 luglio scorso, che ha annullato l’ordinanza (adottata nel lontano dicembre del 2008) con la quale il Sindaco del Comune di Brindisi aveva disposto il divieto per la cittadinanza di distribuire e somministrare avanzi alimentari o mangime specifico a cani, gatti randagi e colombi su tutto il territorio comunale. La vicenda risale al 2009, quando l’Associazione per l’abolizione della caccia propose ricorso contro l’ordinanza sindacale, ritenendola un inutile atto di maltrattamento degli animali, contrario ai principi affermati dalla normativa nazionale e regionale in materia di tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo. Secondo i giudici amministrativi nessuna norma vieta di sfamare i randagi.
Con sentenza n. 1736 dell’11 luglio scorso, i giudici amministrativi pugliesi hanno osservato che nessuna norma di legge fa divieto di alimentare gli animali randagi nei luoghi in cui essi trovano rifugio e che anzi il divieto di deporre alimenti per la nutrizione dei randagi, o che comunque vivano in libertà, contrasta con l’art. 2 della legge n. 281 del 1991 (legge quadro nazionale, dettata a prevenzione del randagismo ed a tutela degli animali d’affezione).
La Sezione Prima del TAR di Lecce ha avuto gioco facile ad accogliere il gravame posto che già il Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez. III, parere 16 settembre 1997 n. 883), su un ricorso straordinario al Capo dello Stato analogo alla controversia sottoposta ora all’esame del tribunale, aveva avuto modo di precisare che alcuna disposizione normativa vietava alla popolazione di alimentare gli animali randagi.
Invero il randagismo si combatte con metodi diversi e preventivi (ad esempio disponendo interventi di sterilizzazione ed impedendo o limitando la riproduzione) senza arrivare ad affamare oramai creature esistenti. Senza contare poi che, almeno nelle grandi aree metropolitane, al fenomeno del randagismo sic et simpliciter si sono sostituite altre manifestazioni, probabilmente anche più massicce e pericolose: com’è ad esempio il caso dell’infestazione dei gabbiani i quali – da volatili alberganti in zone prevalentemente marittime – sono diventati uccelli cittadini, alla perenne e famelica ricerca di cibo (effettuata sovente saccheggiando i contenitori di rifiuti), con un grado di cattiveria nei confronti di simili e dello stesso genere umano da iniziare ad ingenerare una certa preoccupazione. E non pare che le Amministrazioni abbiano assunto iniziative volte ad arginare il fenomeno.
Il Sole 24 Ore e Il Quotidiano della Pa – 21 luglio 2014