L’esenzione dallo scatto di cinque mesi del requisito di pensionamento di vecchiaia previsto nel 2019 viene estesa anche a quello per il pensionamento anticipato. Mentre per l’Ape sociale il governo s’impegna a raccogliere in un fondo i risparmi di spesa sui primi due anni di sperimentazione con l’obiettivo di allargare la platea dei beneficiari.
È con questo addendum ai sette punti della proposta presentata lunedì scorso ai segretari generali di Cigl, Cisl e Uil che, ieri, Paolo Gentiloni ha tentato di incassare il consenso pieno dei sindacati. Ha ottenuto invece un ok solo dalla Cisl, un giudizio sospeso della Uil e un secco no della Cgil. Martedì prossimo si terrà un nuovo incontro (il quarto di questo livello) per definire gli ultimi dettagli di una proposta che verrà poi tradotta in un emendamento al disegno di legge di Bilancio. Una proposta da costruire e condividere con Cisl e Uil (anche senza una formale intesa perché altrimenti si metterebbe in discussione l’unità sindacale) già sapendo che il giudizio negativo della Cgil di Susanna Camusso non cambierà.
Dopo quasi quattro ore di confronto nella sala verde di palazzo Chigi il premier, insieme con i ministri Giuliano Poletti, Pier Carlo Padoan e Marianna Madia, ha fermato la nuova proposta di blocco dell’adeguamento automatico alla speranza di vita nel 2019 ai pensionandi delle 15 categorie gravose che sceglieranno l’anticipo, ovvero l’uscita dal mercato del lavoro con 42 anni e 10 mesi se maschi e 41 anni e 10 mesi se donne. Due livelli destinati a salire, per la generalità dei lavoratori, rispettivamente, a 43 anni e 3 mesi e a 42 anni e 3 mesi. Non sono state indicate platee potenziali, ieri, ma si può stimare che gli interessati rappresentino circa il 10% del totale delle nuove pensioni anticipate del 2019 (potrebbero essere circa 18mila soggetti, se si considera che per questo canale il flusso di fine 2016 s’è fermato poco oltre le 189mila uscite). Le caratteristiche soggettive dei gravosi non mutano: 30 anni di contributi e 7 anni degli ultimi 10 svolti in attività pesanti, le stesse con cui sempre nel 2019 si potrà continuare a puntare su un pensionamento di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi contro i 67 anni che scattano per tutti gli altri (nel 2016 questo canale di uscita è stato utilizzato da 114mila lavoratori, anche qui la stima prudenziale è di un 10% di esentati).
«È stata fatta una proposta in continuità con il verbale d’intesa dell’anno scorso – ha spiegato al termine dell’incontro Marco Leonardi, consigliere economico della Presidenza del Consiglio -, per la prima volta si introduce un’esenzione dall’aumento dei requisiti di pensionamento per alcune categorie di lavoratori».
L’altro punto che s’è aggiunto al pacchetto governativo riguarda l’Ape sociale, ovvero il prestito-ponte verso la pensione per lavoratori in condizioni disagiate (più un elenco di 11 categorie di gravosi) in piena fase di sperimentazione. A fine dicembre, quando saranno certi i risparmi sul primo anno di utilizzo, si potranno introdurre i primi allargamenti della platea, mentre a fine 2018, a sperimentazione chiusa, si stabilirà la possibile proroga. I risparmi non finiranno in economia, insomma, ma verranno riutilizzati tramite un fondo ad hoc.
L’insieme delle misure previste nel pacchetto finale sulla previdenza che verrà presentato martedì innescherà una maggiore spesa per 300 milioni a regime, ovvero dopo i primi dieci anni di attuazione (ma su costi , coperture e platee di beneficiari potenziali è bene aspettare la conferma della relazione tecnica). In quell’insieme di misure è prevista la costituzione di una commissione tecnica per la valutazione della speranza di vita differenziata sulla base delle mansioni svolte e l’impegno ad adottare, dal 2021, un meccanismo di adeguamento automatico basato su stime medie biennali (non più triennali) della speranza di vita a 65 anni con la garanzia che, in caso di calo dell’indicatore, anche i requisiti possano essere corretti al ribasso nel biennio successivo. Nella revisione «strutturale» del meccanismo di calcolo della speranza di vita verrebbe anche fissato un «limite massimo di tre mesi» per ogni futuro rialzo. Se si dovesse registrare un incremento superiore, sarebbe riassorbito nell’adeguamento successivo.
Prevista poi un’altra commissione tecnica per una misurazione separata della spesa previdenziale da quella asssistenziale, l’allineamento della tassazione su rendite e capitale per la previdenza integrativa dei dipendenti pubblici a quella dei privati e il rifinanziamento del fondo Fis (per il sostegno al reddito in caso di perdita dell’impiego).
Nel testo che è stato presentato ai sindacati, infine, il Governo concorda «sulla necessità di continuare il confronto anche nella prossima legislatura, al fine di affrontare le altre problematiche individuate» nel documento del 28 settembre 2016 con i sindacati. In particolare l’impegno è per un percorso «nel rispetto dei vincoli di bilancio e della sostenibilità di medio-lungo termine della spesa pensionistica e del debito» a partire dalle misure «atte a garantire la sostenibilità sociale dei trattamenti pensionistici dei giovani nel regime contributivo e a riconoscere il valore sociale del lavoro di cura e di maternità svolto dalle donne».
Il Governo. Si lavora all’emendamento blindato in manovra. L’approdo dovrebbe essere un articolato condiviso con Cisl e Uil
L’obiettivo è tradurre i nuovi correttivi previdenziali in un emendamento governativo al ddl Bilancio da presentare entro venerdì. Un articolato condiviso con Cisl e Uil e il più possibile «blindato» sotto il profilo finanziario per metterlo al riparo dai già previsti blitz parlamentari che punteranno su interventi a più ampio spettro o a far scattare un rinvio generalizzato dell’aumento dell’età di vecchiaia a 67 anni nel 2019. «È un pacchetto importante – ha detto ieri in conferenza stampa il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan – che va collocato all’interno della legge di bilancio e che aggiunge un contributo del governo a temi sociali come la lotta alla povertà e gli incentivi al lavoro dei giovani». Poco prima di lui il collega del Lavoro, Giuliano Poletti, aveva parlato di un «impegno molto significativo» che si colloca «dentro il percorso del verbale» sulla previdenza raggiunto l’anno passato con le organizzazioni sindacali. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, non s’è presentato in conferenza stampa ma nel corso dell’incontro con i tre leader sindacali ha parlato di «misure doverose». È giusto – ha spiegato il premier secondo quanto riferito dai partecipanti al tavolo – che vengano attenuati «alcuni effetti nell’applicazione e nel metodo di calcolo dell’aspettativa di vita. Tutte cose sacrosante, di equità sociale e giuste in sé».
L’emendamento governativo molto probabilmente non affronterà il tema dell’allungamento dell’Ape sociale al 2019. Le risorse non utilizzate nella prima fase di sperimentazione serviranno per allargare la platea l’anno prossimo forse alle quattro nuove categorie di gravosi che si sono aggiunte alle 11 già previste. Su questo terreno il pressing sindacale in parlamento qualche obiettivo lo otterrà. Ieri, per esempio, Carmelo Barbagallo ha fatto un esempio significativo: comprendere tra i siderurgici considerati gravosi anche i lavoratori impegnati nella prima linea di fusione e non solo nella seconda: «In ballo ci sono gli operai dell’Ilva» ha detto il segretario della Uil. Solo a fine 2018 a sperimentazione conclusa si capiranno i margini veri per un proseguimento dell’Ape, l’ammortizzatore di ultima istanza che un emendamento Pd già vorrebbe prolungare al 2019.
Quasi certamente nei prossimi giorni della soluzione pensioni si parlerà anche nei colloqui politici tra Pd, Pisapia e Mdp e l’esito di questo confronto avrà un suo peso sulla gestione della partita dei ritocchi in Parlamento. Il governo giocherà le sue carte anche alla luce dei rilievi europei, attesi per mercoledì, sui saldi della manovra. E farà pesare anche la portata delle altre misure pensionistiche già messe in campo con il varo del Ddl di Bilancio. La Relazione tecnica della manovra dice che l’apertura dell’Ape sociale anche ai lavoratori a termine e il “bonus” di sei mesi per ogni figlio fino a un tetto di 24 mesi per le lavoratrici-madri costerà 252 milioni cumulati entro il 2020.
Il Sole 24 Ore – 19 novembre 2017