Niente da fare. Il tentativo di chiudere il rinnovo contrattuale dei medici inciampa sulle questioni spinose dell’orario di lavoro, e più in generale sulle questioni generali di politica e rapporti fra i sindacati. Ad accendere la fumata nera è a metà del pomeriggio di ieri un comunicato dell’Anaao Assomed, il principale sindacato del settore ancora fermo sul “no” insieme a Cimo e Fesmed: “Non è stato trovato un accordo complessivo fra le parti”, scrive il sindacato. L’Aran, che in queste settimane ha tentato l’accelerata per provare a firmare prima della pausa, apre a una nuova convocazione per la prossima settimana. Ma il tentativo è estremo e circondato da scetticismo: “Se le condizioni ostative non cambieranno si andrà sicuramente a settembre”, spiega il presidente dell’Aran Antonio Naddeo aggiungendo che “con lo slittamento in autunno il contratto non produrrà effetti prima dell’anno nuovo”, perché dopo la preintesa servono i controlli di Ragioneria e Corte dei conti prima di arrivare alla firma definitiva autorizzata dal consiglio dei ministri.
Sul piano pratico, il punto più delicato è rappresentato dall’orario di lavoro su cui si scaricano gli effetti diretti delle carenze di personale, che secondo i sindacati portano ora i medici a “regalare” al sistema in media 300 ore l’anno.
L’ultima bozza di contratto elaborata dopo due settimane di trattative serrate introduce un sistema di tutele che spinge sulle responsabilità nella programmazione da parte dei dirigenti responsabili, fissa un tetto agli straordinari parametrato alla retribuzione di risultato annuale e una spinta maggiore ai recuperi da garantire possibilmente “entro i primi sei mesi dell’anno successivo a quello di competenza”. Ma ai tre sindacati l’ipotesi fin qui non è bastata.
Ma il punto, si diceva, è anche politico. Perché per natura e dimensioni il deficit di personale e risorse della sanità italiana esaspera inevitabilmente il confronto, ma non può certo essere affrontato da un semplice rinnovo contrattuale: relativo peraltro al 2019/2021, cioè a un periodo che precede e accompagna il colpo pandemico dopo il quale le carenze del sistema sanitario sono esplose in tutta la loro evidenza.
Proprio il ritardo con cui si è arrivati alla trattativa, che ha dovuto attendere i finanziamenti delle diverse manovre, gonfia il totale degli arretrati, che mediamente valgono 6.600-6800 euro lordi sugli stipendi ma salgono vicini a quota 11mila euro considerando anche una tantum, indennità e fondi. Queste risorse, insieme ai 254 euro di aumenti medi mensili, salvo soprese dell’ultima ora sono ormai destinate a farsi vedere in busta paga solo il prossimo anno. Spostando al 2024 anche i due miliardi abbondanti di costi (e i 545 milioni di aumenti a regime), con uno slittamento che finirebbe per cancellare la flessione del fondo sanitario prevista per il prossimo anno anche senza stanziamenti aggiuntivi. Mentre, nell’attesa, resta in vigore sugli straordinari il sistema attuale senza tutele.
I numeri del contratto (fonte Aran)
Il Sole 24 Ore – Gianni Trovati