Il Governo cerca di blindare i nuovi poteri dirigenziali disegnati dalla riforma Brunetta. Il mancato recepimento delle nuove regole impone l’applicazione del sistema disegnato per la Pa centrale
Mentre il governo cerca di «blindare» i nuovi poteri dirigenziali disegnati dalla riforma Brunetta, con il decreto legislativo approvato («salvo intese») venerdì in consiglio dei ministri che impone l’applicazione immediata delle nuove regole, le prerogative dei vertici non sono l’unico problema legato al debutto della riforma negli enti locali. Il mancato recepimento delle nuove regole entro la fine di questo mese rischia per esempio di bloccare le assunzioni e il conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati. A tale conclusione si può arrivare percorrendo le intricate norme del titolo II del Dlgs 150/2009.
Le regioni e gli enti locali dovevano adeguare i propri ordinamenti entro il 31 dicembre ai principi contenuti nella riforma in materia di sistema di misurazione e valutazione della performance, di trasparenza (articolo 16) e di premialità (articolo 31). In caso di inerzia, l’articolo 16, comma 3, prevede, in tema di valutazione, che «decorso il termine fissato per l’adeguamento si applicano le disposizioni previste nel presente Titolo fino all’emanazione della disciplina regionale o locale». In modo del tutto analogo il contenuto dell’articolo 31, comma 4, in tema di premialità.
Poiché molti enti non hanno adeguato i propri ordinamenti, ci si interroga sulle possibili conseguenze pratiche. Se da una parte non vi è dubbio che il termine del 31 dicembre non può essere considerato perentorio, dall’altra il legislatore ha previsto un “singolare” regime sanzionatorio: l’applicazione anche agli enti locali, fino al l’adeguamento dei propri ordinamenti, del sistema disegnato per la Pa centrale.
In questo contesto risulterebbe quindi applicabile, tra le altre, anche la disciplina in materia di piano e relazione sulle performance prevista dall’articolo 10 dello stesso decreto. In altre parole, l’ente, in sede regolamentare, può decidere di prescindere integralmente dalla normativa statale fino a non prevederne l’adozione, oppure può riscriverne, con ampi margini di autonomia, sia la procedura che il contenuto ovvero, infine, può recepirne in tutto o in parte i contenuti. Infatti, l’articolo 10 non è richiamato tra le norme applicabili agli enti locali neppure in termini di principio (articolo 16, comma 2). Tuttavia, la mancata scelta impone la temporanea applicazione dei rigidi vincoli dettati alla Pa centrale.
Tra le altre cose, la normativa statale impone l’adozione di un documento programmatico triennale, denominato piano della performance, entro il 31 gennaio di ciascun anno. Il piano, in coerenza con gli strumenti di programmazione finanziaria e con il bilancio, individua e assegna ai dirigenti gli indirizzi ed obiettivi strategici e operativi. In caso di mancata adozione, l’articolo 10, comma 5, fa scattare automaticamente il divieto di assunzione di personale e il conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati. Inoltre, è fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti responsabili.
Il richiamo alla normativa della Pa centrale rischia di far scattare la sanzione anche agli enti locali pur risultando difficilmente conciliabile il termine del 31 gennaio per il piano delle performance con la proroga al 31 marzo fissata per il bilancio di previsione. Ci si chiede come sia possibile sanzionare la mancata adozione del piano delle performance in assenza del bilancio di previsione. Al contrario non è giustificabile la mancata adozione del piano dopo l’approvazione del bilancio di previsione.
In modo analogo, alcun addebito può essere contestato ai dirigenti, con il conseguente mancato riconoscimento della retribuzione di risultato, quando l’inerzia non dipenda dalla loro volontà
Ilsole24ore.com
24 gennaio 2011